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- 28/11/2024
L'orientamento per l'inclusione sociale: buone prassi e spunti di intervento
Nell’immaginario comune, i percorsi di orientamento vengono accomunati per lo più a transizioni che riguardano scelte negli ambiti dell’istruzione, della formazione e del lavoro. Esiste, però, un ambito di intervento più complesso, quello dell’inclusione sociale, dove gli Orientatori, grazie alle loro peculiarità professionali, possono giocare un ruolo fondamentale per rendere più efficaci i percorsi di inserimento e inclusione sociale e lavorativa. A cura di Dario Madeddu, Orientatore Asnor e Progettista di formazione.
I 5 ambiti di intervento dell’orientamento
La letteratura italiana ed europea individuano cinque macro-settori in cui l’orientamento interviene:
- istruzione primaria, secondaria (o superiore) e terziaria (Università, ITS);
- formazione professionale (percorsi IeFP, percorsi di Formazione Professionale, Apprendistato);
- istruzione degli adulti;
- lavoro e occupazione (anche nel settore privato);
- inclusione sociale.
Certo, non è realistico, né veritiero, immaginarci questi ambiti come separati da una cesura netta tra di loro. Basti pensare, per esempio nell’ambito dell’istruzione, ai casi di svantaggio e di dispersione dovuti a problematiche di tipo socioeconomico derivanti da ambienti complessi dai quali gli studenti provengono.
L’esempio appena citato, infatti, mette in risalto l’importanza e la necessità per tutti gli operatori dei cinque macro-settori di lavorare in rete e di collaborare senza soluzione di continuità, ciascuno rispettando il proprio ruolo, ma mai a compartimenti stagni.
Ogni persona, all’interno del suo complesso sistema di risorse, opportunità e difficoltà, affronta il suo percorso di consapevolezza alla scelta in modo differente e non è quasi mai possibile standardizzare interventi di orientamento, formazione, lavoro e inclusione. La collaborazione tra operatori, professionisti e servizi può arrivare a standardizzare metodologie di intervento, ma il percorso di crescita, autonomia e consapevolezza, resta sempre personale e necessita quasi sempre di più professionisti.
L’inclusione sociale e l’orientamento
Nel sistema italiano ed europeo, quando parliamo di inclusione sociale ci riferiamo a un concetto complesso e multiforme che trova il proprio obiettivo nel processo da compiere per garantire a tutti gli individui, indipendentemente dalle loro caratteristiche e/o dal loro background, la possibilità di partecipare pienamente alla vita economica, sociale e culturale della società.
Lavorare e attivarsi per l’inclusione sociale significa provare a costruire una società in cui tutti abbiano le stesse opportunità e gli stessi diritti, indipendentemente da chi siano o da dove provengano. Può sembrare irrealistico e quasi utopico, eppure è proprio questa, la missione che l’Europa assegna all’orientamento e ai servizi di orientamento.
Il perché è facile comprenderlo: scegliere consapevolmente i percorsi di istruzione, formazione, lavoro e vita privata più adatti, significa riuscire a vivere pienamente e attivarsi perché anche gli altri possano riuscire a farlo. In qualche modo, quindi, il fine più alto dell’orientamento e quello dell’inclusione sociale non solo si incontrano, ma combaciano.
L’Europa ritiene fondamentale, ogniqualvolta si erogano servizi di orientamento in qualsiasi settore, sottoporli a valutazione e monitoraggio. Badate, non è ansia di una crescita continua che la società di oggi quasi agogna come una chimera. È tutt’altro. Prima di tutto è consapevolezza: come posso lavorare per la consapevolezza se non sono sempre pienamente consapevole del modo in cui lo faccio? È un punto sul quale insisto sempre durante i percorsi di formazione che svolgo per gli Orientatori: ricercare feedback, avere valutazioni, apporre correttivi e miglioramenti quando sono necessari è l’unico modo di migliorare per chi si occupa di orientamento. Ripeto, non per ricercare una crescita infinita, ma per restare, da Orientatori, parte attiva del cambiamento in un contesto che permane mobile e ricco di elementi aleatori e di incertezza.
Alcune possibili modalità di intervento nell’inclusione sociale
Svolgere orientamento per l’inclusione sociale, in sintesi, significa immergersi nella complessa rete di servizi che a vario titolo operano per il miglioramento delle condizioni delle persone in svantaggio e collaborare con differenti operatori e professionisti.
In qualche modo, vuol dire prima di tutto provare a superare anche quell’ostacolo che spesso appare come concorrenza tra servizi privati e pubblici. Nell’inclusione sociale e nell’orientamento, infatti, non può esserci concorrenza tra servizi, può esserci solo collaborazione. E questa deve essere garantita senza soluzione di continuità e rapidamente, pena, in certi casi, il fallimento del percorso che la persona sta compiendo. Può significare, inoltre, comprendere che in un percorso di orientamento che può iniziare in uno dei quattro macro-settori differenti, per poter giungere alla realizzazione e al compimento della scelta della persona che seguiamo, è necessario lavorare su aspetti complementari, ma non per questo meno importanti.
Citerò alcuni esempi per migliorare la comprensione di queste affermazioni e fornire alcuni spunti sulle possibili modalità di intervento.
L’Agenzia formativa e Centro di Orientamento O.V.C.G. Asnor nella quale opero gestisce anche progetti di inclusione lavorativa. In questi casi non è possibile lavorare senza il supporto di un’equipe multidisciplinare. L’Orientatore collabora con più psicologi ed educatori e verifica costantemente con i servizi pubblici che hanno in carico la persona che il progetto formativo, di orientamento e di inserimento, rispetti quanto anche da loro progettato e previsto.
Per norma nazionale, i tirocini, anche di inclusione, vengono disciplinati a livello regionale.
In Sardegna, per attivare un tirocinio di inclusione, occorre che la persona da inserire sia in carico a un servizio (ad esempio sociale del Comune, Centro di Salute Mentale, Servizio dipendenze, Ufficio Esecuzione Penale Esterna) e che quel servizio approvi il progetto di tirocinio. Per esperienza so che l’iter burocratico dell’attivazione richiede circa due mesi.
Dopo aver terminato il percorso formativo e di orientamento, basandomi su questo dato, so quale tempo ho per raccordarmi con i servizi, ricercare l’azienda e disbrigare le pratiche che mi consentiranno l’avvio del tirocinio. Ho, però, avuto diversi casi in cui il referente dei servizi pubblici che aveva in affidamento la persona che seguiva il nostro percorso nel momento dell’approvazione del progetto di tirocinio risultava assente per diverso tempo e per svariati motivi.
E se il tirocinio progettato in collaborazione con l’Agenzia Sarda per le Politiche Attive del Lavoro non riceve nei tempi previsti il nulla osta dei servizi, difficilmente riesce a partire. Le motivazioni sono semplici: l’ingresso della risorsa programmato dall’azienda non avviene nei tempi previsti e l’azienda riprogramma tirocini differenti o differenti ingressi di nuove risorse; la persona in svantaggio ha un arretramento e le condizioni createsi con mesi di attività arrivano a non sussistere più.
Lavorare nell’inclusione sociale nel privato significa, quindi, spesso arrendersi al fatto che in questo settore - in Italia - ancora non c’è una piena complementarità tra pubblico e privato. Fino a quando i servizi privati di orientamento e accompagnamento al lavoro non verranno integrati pienamente - così come vuole la riforma che il Programma GOL sottende - difficilmente diverranno un prolungamento e un arricchimento positivo di quanto già svolgono i servizi pubblici.
Leggi anche L'orientamento come strumento efficace per una reale inclusione sociale e lavorativa
Gli ostacoli all’inclusione socio-lavorativa
L’orientamento nel settore dell’inclusione sociale, quindi, richiede collaborazione tra pubblico e privato e tempi che devono essere rispettati. La fragilità che lo svantaggio comporta restituisce alla persona un equilibrio molto precario che a volte rischia, anche solo per semplici ritardi, di ritornare ad essere disequilibrio.
E ciò, come è comprensibile, ha differenti implicazioni negative.
Per l’Orientatore, i percorsi di orientamento nell’inclusione sociale richiedono la piena operatività della parte formativa dell’orientamento, progettualità e lavoro di squadra. È necessario saper lavorare nello sviluppo delle competenze di vita (LifeComp) e occorre saperlo fare in equipe e in raccordo con psicologi ed educatori. Significa che la catena della comunicazione all’interno dell’equipe non può mai interrompersi e prima dell’intervento che ciascuno compie è necessario che quanto svolto dall’altro componente dell’equipe sia conosciuto.
Nonostante l’orientatore possa spesso pervenire da percorsi simili a quelli degli psicologi e degli educatori con i quali collabora, le proprie competenze e conoscenze in quei settori servono solo per facilitare il proprio lavoro, ma se opera da orientatore deve limitarsi a vestire quei panni e non può travalicare il proprio ruolo.
Il necessario lavoro sulle competenze di vita, ahimè, trova raramente spazio adeguato nelle maglie dei finanziamenti dei progetti. Perché è un lavoro lungo, che spesso richiede affiancamento costante delle persone e non è quasi mai posto allo stesso livello della formazione delle competenze tecnico-professionali. Queste ultime, infatti, sono generalmente ritenute più importanti per poter garantire l’inserimento lavorativo della persona in svantaggio. In realtà, le une, senza le altre, prolungano il permanere di quel disequilibrio che prima citavo.
La persona in svantaggio trova differenti livelli di problemi, quando affronta un percorso di orientamento e avvicinamento al mondo del lavoro. Quelli prevalenti, però, insistono sull’area sociale. Per ragioni che sono evidenti, la mancanza di un lavoro prolungata nel tempo, l’assenza di un reddito stabile e spesso la presenza di condizioni di povertà, la prosecuzione della terapia nei casi che riguardano le dipendenze o la salute mentale, il fatto di essere sottoposti a un amministratore di sostegno, non possono facilmente coniugarsi con la socialità che l’ingresso nel lavoro richiede.
A livello più basso, un ingresso nel mondo del lavoro non protetto da un =rientatore e da un’equipe rischia di essere complicato e complesso. E ciò, in un percorso di inserimento o reinserimento nei casi di svantaggio, non deve e non può avvenire.
L’ingresso nel mondo del lavoro è preferibile che avvenga attraverso con un percorso controllato, magari di tirocinio, supervisionato dal gruppo di lavoro che comprende l’Orientatore e dai servizi pubblici e privati che hanno operato sul caso di quella specifica persona. Il percorso di socialità che la persona in svantaggio affronta ha spesso differenti step e ognuno di essi risulta generativo di stress che, se non affrontati e risolti, possono anche inficiare il percorso fino a quel punto svolto.
Svolgere orientamento nell’inclusione sociale, inoltre, significa anche sperimentare percorsi che in genere sono molto più lunghi di quelli che possiamo svolgere negli altri settori e - a volte -bisogna arrendersi al fatto che, nonostante tutte le azioni compiute possano essere positive, è possibile fallire.
Il successo dell’orientamento restituisce molto di più
Come è risaputo, lavorare nel sociale per un Orientatore spesso significa doversi abituare a retribuzioni che non sono in linea con gli altri settori. È inoltre vero che le risorse personali impiegate nel lavoro nell’inclusione sono maggiori, perché, come sopra abbiamo spiegato, i tempi si dilatano e in ogni caso, a prescindere da tutto ciò che si compie, si fallisce comunque.
Nel sociale, però, alcuni casi di successo restituiscono una pienezza e un’importanza al lavoro e al ruolo dell’Orientatore che negli altri settori sarebbe difficile anche solo immaginare.
Poco tempo fa mi è capitato di inserire in un progetto una persona di circa quarant’anni, in doppia diagnosi, cioè con problemi di dipendenza e di salute mentale. Aveva da poco terminato il suo percorso in comunità. Da subito, come équipe, ci siamo resi conto che aveva comunque delle risorse personali ottime. Siamo riusciti a formarlo sia su competenze tecnico-professionali, sia sulle competenze di vita. Siamo riusciti a migliorare il suo profilo sia sociale che lavorativo. Dopo aver svolto un tirocinio in uno sportello informazioni di una amministrazione comunale, da orientatore ho proseguito il lavoro con lui perché potesse entrare stabilmente a lavorare in un’azienda. Tramite la rete dei servizi con la quale collaboro abbiamo trovato una cooperativa che gestisce appalti con le pubbliche amministrazioni disposta a puntare su di lui. Dopo due anni, non ha solo cambiato vita, nel senso più profondo che ciò significa, ma grazie al percorso e a quanto abbiamo relazionato nel tempo ai servizi, è riuscito anche a non essere più amministrato.
Conclusioni
Per l’orientamento nel settore dell’inclusione sociale, in Italia, ci sono ancora molti passi da compiere. In primis la possibilità di prevedere sempre, nelle équipe multidisciplinari, la presenza di un Orientatore certificato. Quando accade è ancora più dovuto al fatto di essere psicologi o educatori o al fatto che l’esperienza e la professionalità personali ci abbiano portato ad essere conosciuti e riconosciuti nella rete territoriale all’interno della quale operiamo.
Inoltre, come abbiamo visto, va realizzata la piena continuità tra servizi pubblici e privati: quando si lavora sullo svantaggio è necessario che tutti si sentano parte di una squadra.