Mercoledì 16 Ottobre 2024

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  • 11/10/2024

Quando cambiare lavoro non basta: riflessioni su scelte di carriera e auto-realizzazione

La citazione "Dono la mia assenza a chi non apprezza la mia presenza" esprime un sentimento comune di insoddisfazione, spesso percepito nel mondo lavorativo. Questo articolo esplora se il cambiamento, in particolare l'abbandono di un ambiente professionale in cui non ci si sente più valorizzati, rappresenti sempre la strategia giusta per raggiungere felicità e auto-realizzazione. A cura di Rovena Bronzi, Orientatrice Asnor.

Sempre più spesso, nel mio ruolo di Orientatrice, incontro persone che hanno cambiato lavoro con l'aspettativa di migliorare la loro condizione, ma che si ritrovano invece in una situazione fallimentare. Oppure, ascolto storie di chi cerca il mio supporto per lasciare un'occupazione fonte di sofferenza. Le motivazioni dietro queste decisioni spesso si ripetono: sentirsi svalutati dal datore di lavoro, esclusi da processi aziendali importanti, o vittime di decisioni ingiuste.

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Quando il cambiamento è positivo e quando non lo è

Cambiare lavoro può essere una scelta positiva quando:

  • la decisione è frutto di una consapevolezza maturata nel tempo;
  • il desiderio di cambiamento è reale, e andarsene è la soluzione migliore sia a livello umano che professionale;
  • la transizione viene pianificata e non improvvisata.

Al contrario, può rivelarsi una scelta sbagliata quando:

  • non è basata su una riflessione profonda, ma su una reazione emotiva a un singolo evento;
  • la decisione nasce dal desiderio di infliggere una "punizione" a chi non ha apprezzato il proprio valore o dall’illusione che le dimissioni possano innescare un cambiamento di atteggiamento da parte dell'azienda.

Un'esperienza personale, amara ma realistica, mi ha insegnato che è raro che un datore di lavoro implori un dipendente di rimanere, specialmente nei casi di contratti meno specializzati. Più spesso, l'azienda si limita a fare gli auguri e avvia rapidamente la ricerca di un sostituto. In alcuni casi, la separazione può addirittura diventare conflittuale.

Un ulteriore rischio è quello di ritrovarsi in una situazione peggiore di quella precedente. È infatti dimostrato che le decisioni prese frettolosamente o spinte da emozioni negative possono trasformare un gesto di ribellione in un vero e proprio auto-sabotaggio.

Il ruolo dell’Orientatore: prima del cambiamento

Quando la scelta di cambiare lavoro non è ancora stata messa in atto, l’Orientatore ha un ruolo chiave nell'accompagnare l'utente verso una maggiore consapevolezza.

Ecco cosa non fare:

  • cercare di dissuaderlo senza approfondire le sue motivazioni;
  • incoraggiarlo a lasciare il lavoro senza un piano chiaro o per un nostro vissuto personale;
  • assecondarlo senza mettere in discussione le sue decisioni.

Cosa invece dovremmo fare:

  • porre domande aperte che aiutino l'utente a esplorare le proprie emozioni e pensieri, guidandolo verso una riflessione più profonda;
  • aiutarlo a valutare la situazione sia dal punto di vista emotivo che razionale.

Alcune domande chiave che possono essere utili in questa fase:

  1. Cosa ti aggiunge e cosa ti toglie questa scelta? Invitando a riflettere sia a livello emotivo che pratico;
  2. Se non provassi queste emozioni, cosa ti suggerirebbe la ragione? Cosa potresti fare come alternativa al cambiamento radicale?

Spesso, chi pensa di andarsene lo fa più per rivendicazione o vendetta, piuttosto che per un vero desiderio di cambiamento. Il ruolo dell’Orientatore è aiutare l'utente a capire se la sua decisione è frutto di una riflessione ragionata o di una reazione emotiva.

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Il ruolo dell’Orientatore: dopo un fallimento

Quando la scelta di cambiare lavoro si è rivelata un errore e la persona si trova in una situazione peggiore di prima, l’Orientatore deve agire con grande delicatezza.

Cosa non fare:

  • giudicare o far sentire in colpa la persona;
  • attribuire tutte le responsabilità a fattori esterni come il mercato del lavoro o il datore di lavoro.

Cosa invece dovremmo fare:

  • aiutare la persona a separare ciò che non dipende da lei da ciò che è sotto il suo controllo, in modo che possa evitare di ripetere gli stessi errori;
  • guidarla verso il futuro, lasciando il passato alle spalle e concentrandosi su nuove possibilità.

In conclusione, il cambiamento può essere una risposta a un disagio lavorativo, ma deve essere affrontato con consapevolezza e pianificazione. Come Orientatori, il nostro compito è aiutare le persone a fare scelte che non siano dettate solo dall'emotività, ma che portino a una reale crescita personale e professionale.

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Rovena Bronzi

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