Martedì 16 Luglio 2024

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  • 31/10/2023

Le motivazioni dietro la scelta o il rifiuto di una proposta di lavoro

In questo articolo vedremo insieme quali sono i più frequenti motivi che portano un candidato - desideroso di cambiare lavoro - a rifiutare una proposta/offerta di lavoro. A cura di Rovena Bronzi, Orientatrice Asnor.

Percorsi di cambiamento professionale

Nei percorsi di supporto al cambiamento professionale, per aiutare le persone a comprendere meglio il loro perché, il cosa stanno cercando (a livello di motivazione intrinseca/estrinseca e nel determinare quale delle due ha più impatto nel qui e ora o in una prospettiva futura), è importante sempre esaminare insieme i motivi più’ profondi che:

  1. spingono a voler cambiare lavoro o, per una maggior auto-consapevolezza, che hanno spinto a farlo in passato;
  2. stanno alla base del malessere e dell’insoddisfazione che si sta provando;
  3. hanno portato a rifiutare precedenti proposte/offerte di lavoro.

Ritengo molto importante fare questo tipo di analisi perché può aiutare a evitare di fare scelte sbagliate sia nel presente che nel futuro o a portare a rimpianti e rimorsi.

Il rifiuto di una proposta di lavoro

In questo articolo, ci soffermeremo sul punto 3 e vedremo insieme quali sono, secondo la mia esperienza diretta in fatto di orientamento professionale e consulenza di carriera, i più frequenti motivi che portano un candidato -desideroso di cambiare lavoro - a rifiutare una proposta di lavoro (sia al termine di un processo di selezione, sia in fase di trattativa che di primo contatto da parte del recruiter) o più in generale a scegliere di non candidarsi proprio a un’offerta, pur possedendo un interesse per la vacancy, i must have (competenze non negoziabili, essenziali per lo svolgimento di quella mansione) e magari anche i nice to have (competenze negoziabili, plus che danno a chi le possiede un valore aggiunto alla sua figura professionale).

Qui un elenco di motivazioni a rifiutare una proposta di lavoro o a non candidarsi a un’offerta di lavoro:

  • L’ormai quasi onnipresente dicitura “in sede”, che per molti candidati significa doversi trasferire, restare lontano da casa ore e ore, fare km e km (stress, traffico, maggior rischio di incidenti, maggiori spese legate al trasporto, ecc.), “il non aver più’ una vita al di fuori di quel lavoro” (frase più’ che sentita e risentita), anche e soprattutto laddove sarebbe operativamente fattibile poter lavorare da remoto o in smartworking;
  • L’orario di lavoro non flessibile o in generale politiche aziendali lontane dal favorire ai collaboratori un equilibrio tra vita privata e lavoro (work-life balance);
  • L’offerta di lavoro in nero o con condizioni palesemente illegali (per esempio: tirocinio extra-curriculare non retribuito);
  • La retribuzione (inferiore alle aspettative, al buon senso, ai CCL, ecc.);
  • La forma contrattuale non soddisfacente o non in linea con quello che si sta cercando;
  • Il livello di inquadramento inferiore o non in linea con le aspettative, la storia e le esperienze professionali accumulate nel tempo;
  • La “percezione” che le politiche aziendali e del personale vigenti mal si conciliano (da subito o in una prospettiva futura) con le proprie esigenze, valori, aspettative o addirittura siano discriminanti o “da Medio Evo”;
  • La pretesa di un’immediata disponibilità a chi ha già un lavoro o altri vincoli legati al contratto in essere, quali quello relativo al patto di non concorrenza.

Come si può quindi ben comprendere, a dover essere definiti a priori in un percorso di cambiamento professionale devono essere sia i fattori legati alla motivazione estrinseca (quali il salario, il tipo di contratto, ecc.) che quelli legati alla motivazione intrinseca (ovvero legate al lavoro stesso e al senso di auto-realizzazione che ne consegue).

A volte, oserei dire quasi fortunatamente, essi coincidono, ma molto più spesso sono in contrapposizione e richiedono più o meno dolorosamente di dover dare una priorità e un dover fare una scelta.

Le 3 bussole delle scelte professionali

Personalmente suggerisco sempre di suddividere il cosa cerco nelle 3 bussole che orientano le nostre scelte professionali:

  1. Ciò che considero categorico e prioritario, da intendersi sia nell’assenza che nella presenza. Se manca quello o se mi prospettano quell’altro, rifiuto/accetto solo se c’è quest’altro;
  2. Ciò che considero importante ma potrei anche sorvolarvi (magari in cambio di…);
  3. Ciò che considero accessorio, un plus a cui posso anche rinunciare (se c’è/non c’è meglio, ma non determina le mie scelte).

E suggerisco di non aspettare mai a farlo nella fase finale di un colloquio o davanti a una proposta di lavoro, bensì già nella mappatura delle aziende, dei settori, delle offerte di lavoro ma soprattutto ancora prima, ovvero nella definizione delle professioni obiettivo.

Iniziare fin dal principio ad essere selettivi, auto-consapevoli e responsabili in toto delle proprie scelte, consente di evitare perdite di tempo (per tutte le parti coinvolte), conflitti e crisi varie, ma soprattutto di fare scelte sbagliate generalmente date dall’emozione del momento o dalla fretta, ritenuta da sempre la peggiora consigliera.

Dott.ssa Rovena Bronzi

Dott.ssa Rovena Bronzi

Orientatrice Asnor

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