Sabato 22 Febbraio 2025

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  • 21/2/2025

LET'S TALK | Puntata 6: Intervista a Romano Benini

“Accedere all’orientamento deve essere come andare dal medico o dal farmacista”. Docente di Politiche del Lavoro ed esperto del Ministero del Lavoro, Romano Benini è l’ospite di questa nuova puntata di Let’s Talk. Con lui, che è anche volto noto della tv - da giornalista economico, è infatti da molti anni autore ed esperto dei principali programmi di comunicazione televisiva sul lavoro della Rai: “Okkupati” (1998-2011) e “Il posto giusto”, in onda dal 2014 su Rai 3 – abbiamo parlato dio come sta cambiando il mercato del lavoro in Italia, di quanto spazio professionale ci sia per gli Orientatori, della sfida dell’occupabilità e del Fondo Nuove Competenze.

Puntata 6 – Ospite: Romano Benini, Docente di Politiche del Lavoro, esperto del Ministero del Lavoro, Giornalista economico.Conduce l’intervista Vito Verrastro, Direttore Responsabile del magazine l’Orientamento.

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Oppure guarda la videointervista integrale

VV - Bentornati ad una nuova puntata di Let's Talk, questa rubrica sulla cultura dell'orientamento voluta da ASNOR, Associazione Nazionale di Orientatori, e dal suo magazine L'Orientamento. Ospite di oggi, graditissimo e illustre, è Romano Benini. Volto noto ai più in tv, soprattutto per chi ha guardato con attenzione i programmi sulla RAI in tema di lavoro. Oggi è docente di Politica e del Lavoro, esperto del Ministero del Lavoro, ha un lungo e prestigioso curriculum in insegnamento a La sapienza di Roma e alla Link University; è coordinatore nazionale del Programma europeo “Garanzia Giovani”, ha pubblicato numerosi testi che raccontano la vicenda economica e politica del nostro Paese ed è stato autore e ospite fisso in trasmissione come “Okkupati” e “Il Posto Giusto” su Rai 3.

Come osservatore attento e attivo del mondo e del mercato del lavoro, ti chiedo come si sta evolvendo lo scenario, in un periodo in cui da un lato ci sono e viviamo le tante transizioni, dall'altro ci sono fenomeni come l'intelligenza artificiale che sta un po' sparigliando le carte; insomma, il panorama è davvero molto molto fluido.

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RB - Grazie Vito, per chi fa il nostro mestiere è una fase estremamente interessante, tuttavia dobbiamo riconoscerne le caratteristiche per capire quali sono gli elementi di positività che ci permettono poi di affrontare le criticità che comunque continuano certamente a esserci. Il lavoro va sempre visto in chiaro-scuro. Se dobbiamo ragionare sulla fisiologia del mercato del lavoro, è evidente che in questi anni abbiamo una crescita dell'occupazione, una forte diminuzione della disoccupazioneche però non intacca più di tanto il grande mondo degli inattivi, in cui abbiamo alcuni fenomeni come i NEET nel Mezzogiorno, le donne a bassa scolarizzazione e il lavoro sommerso in cui si colloca una potenzialità di tre, quattro milioni di unità di lavoro che vanno assolutamente fatte emergere, recuperare; perché oggi se c'è una questione statisticamente rilevante è quella della bassa partecipazione al mercato del lavoro. Significa che abbiamo un numero di inattivi che dobbiamo cercare quanto meno di portare a livello francese.

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Tornando ai disoccupati - cioè quelli che attivamente cercano lavoro, chi è convolto in un percorso di formazione, di reskilling o altro - in Italia ormai sono poco più di un milione e quattrocentomila e probabilmente scenderanno ancora di più. Ma c'è anche un altro tema importante, che è l'aggravamento della disomogeneità territoriale che da qualche anno ha riportato anche ad un'immigrazione interna, che a sua volta è figlia di un modello economico che dobbiamo andare a ripensare in termini di di sostenibilità.

Infine, dopo il tema degli inattivi e quello della disomogeneità territoriale, ce n’è un terzo: la necessità di aumentare le competenze. Abbiamo una competenza media dei lavoratori italiani che è più bassa rispetto alla media europea. Fortunatamente i nostri giovani tendenzialmente sono più scolarizzati e hanno dei livelli di competenze più elevati, tant'è che tendenzialmente se si cerca un laureato o uno specializzato lo si cerca giovane; ma dobbiamo, anche per questo motivo, fare tutti gli sforzi possibili immaginabili per migliorare la competenza di quei lavoratori adulti, che poi sono la fascia che è cresciuta di più in questi anni. E anche questo è un tema davvero molto significativo, che coincide anche con il lancio del Fondo Nuove Competenze, che ha alcune caratteristiche a mio parere molto interessanti: non tanto perché sia uno degli autori dell'intervento ma perché, per la prima volta, c’è un percorso di formazione per l'innovazione rivolta agli occupati insieme alla formazione per l'innovazione rivolta ai disoccupati che vanno inseriti nel lavoro.

Quindi, per concludere, tre grandi tematiche in una sfida fondamentale che è quella di passare il prima possibile dal 62,5% al 68% del tasso di occupazione, che è la condizione minima per poter tornare a fare crescita.

VV - Grazie per questa overview che ha acceso i riflettori sui pilastri che oggi muovono e caratterizzano il mercato del lavoro. In mezzo a tanta fluidità, con questi dati che per molti versi sembrano anche incoraggianti, e a tanti strumenti che oggi esistono per migliorare le proprie competenze, qual è l'approccio migliore da avere, oggi?

RB - L'approccio migliore oggi è quello di concentrarsi sulle proprie competenze e sul miglioramento delle proprie capacità. Perché c'è una domanda di lavoro che tutto sommato può aggiungere valore a quello che noi già sappiamo fare e abbiamo anche bisogno di nuove attività di lavoro autonomo e imprenditoriale, perché c'è un tasso di imprenditorialità in Italia che in questi anni è leggermente calato e va sostenuto. Non è un caso che siano soprattutto le donne e gli immigrati a mettersi di più in proprio.

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Quindi c'è tendenzialmente una condizione favorevole perché c'è un aumento della domanda. Erano anni che non c'era un trend così significativo nel nostro Paese, e quindi ci dobbiamo attrezzare per capire noi nel nostro specifico qual è il valore aggiunto che possiamo portare a questa domanda. Io da questo punto di vista sono convinto che la sfida è quella dell'essere “smart”: essere svegli, essere pronti. Significa, a mio parere, concentrarsi proprio sulle proprie caratteristiche, sulla propria unicità e su quel valore aggiunto per cui il tuo datore di lavoro o tu, se vuoi fare un'attività in proprio, puoi portare; quello che tu puoi aggiungere o puoi in qualche modo trasferire in un sistema che oggi spesso non trova risposta perché mancano i candidati giusti.

VV - Il famoso mismatch, no? Il disallineamento tra domanda e offerta.

RB – Il disallineamento oggi tra i laureati è del 50%. Certo. Ma addirittura c'è un disallineamento del 40% per i lavoratori con competenze basse o con l'obbligo formativo. E’ chiaro che questo divario sia legato alle competenze. C’è un disallineamento delle competenze basse, di chi va a fare lavori oggettivamente molto spesso sottopagati e comunque lavori non particolarmente apprezzati, ma anche uno più complessivo: non si trovano i manager così come non si trovano i rider, e da questo punto di vista forse questo significa anche che c'è uno spazio per costruire il proprio percorso di lavoro nel contesto dato o nel contesto cercato; perché, quando invece ci si sposta di solito verso luoghi più attrattivi dal punto di vista occupazionale, quei luoghi spesso comportano anche un maggior costo della vita.

VV - In questa fluidità ognuno di noi può in qualche modo coltivare, allenare le proprie competenze, quindi. Ma che ruolo possono avere gli esperti di intermediazione tra domanda e offerta? Noi siamo nella comunità degli Orientatori, quindi ci rivolgiamo prevalentemente ad un pubblico di professionisti di questo settore che vogliono sostenere le scelte delle persone in questo mercato e in questi cambiamenti così fluidi. Che ruolo possono avere oggi questi professionisti?

RB - C'è un bisogno enorme di orientamento. Credo che il governo stia pensando di reintrodurre l'obbligo di orientamento negli ultimi anni delle scuole; l'esigenza di orientamento deve essere trasferita in modo ordinario, deve essere come andare dal medico o dal farmacista, perché nelle fasi di grandissima transizione determinate anche dei cambiamenti tecnologici, rischiamo di avere fasce significative del mercato del lavoro verso cui noi non indirizziamo i giovani. Pensiamo al rapporto donne e competenze STEM: non possiamo essere il Paese in Europa con la minore propensione femminile rispetto a percorsi scientifici e tecnologici, anche perché la maggior parte dei disoccupati italiani che cercano attivamente lavoro sono donne.

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Quindi, al di là dell’aspetto generale ci sono le scelte specifiche, e non dipende da un problema di titoli di studio perché anche la qualifica professionale ha il suo mercato. Il punto è però capire qual è il tipo di attitudine, di percorso, di attività che si che si vuole sviluppare. Non ci sono quelle di serie A o di serie B. Però bisogna fare in modo che i ragazzi e le famiglie siano molto attenti a conoscere il mercato del lavoro, uscendo anche da certi stereotipi; perché, parliamoci chiaramente, un percorso lungo per con la laurea e un post laurea è un percorso che implica un investimento personale, tanta fatica, tanti soldi e poi magari a un certo punto vai a fare l'esperienza all'estero. Mentre il differenziale dal punto di vista dello stipendio non è così elevato rispetto a un ragazzo che ha fatto quattro anni di IFTS o che ha un un diploma in una competenza tecnica, e che magari poi, avendo questo diploma, lavora vicino a casa con alcune facilitazioni. Insomma, i percorsi che in questa fase le nuove generazioni hanno davanti possono essere tra loro diversi: bisogna saperli “pensare prima”, motivo per cui c'è un bisogno enorme di orientamento, che il sistema pubblico da solo non riesce a soddisfare. Il sistema pubblico, nonostante alcune regioni abbiano davvero fatto il piano di rafforzamento dei servizi per l'impiego, in Italia è sempre stato insufficiente, ordinariamente; figuriamoci in una situazione straordinaria come questa!

Occorre una consulenza continua e mirata per per quei momenti di scelta che diventano assolutamente fondamentali.

VV - C'è spazio insomma, c'è un ampio spazio per provare ad inserirsi in questo dialogo pubblico- privato sul tema dell'orientamento, che è sempre più importante perché le scelte si sono moltiplicate; e però ci sono magari delle resistenze culturali che ci portiamo dietro, guardando ancora i fenomeni del secolo scorso, mentre non ci rendiamo conto che invece il cambiamento è davvero elevato e anche gli strumenti sono elevati: penso agli ITS, a tutti gli strumenti che oggi abbiamo a disposizione per formare e qualificare competenze.

RB -  Sì, abbiamo una grande domanda di diplomati di ITS e un mismatching di ITS che è del 61%: è altissimo! Cioè ci sono alcuni ITS che hanno sbocchi nel mercato del lavoro migliori di alcune lauree. Bisogna dirselo, bisogna dirlo. Bisogna comunicarlo e farlo sapere alle famiglie. Poi non avrai il titolo da dottore, ma in un paese civile non dovrebbe essere questo il punto.

VV – Il tema centrale di questa nostra conversazione sono le competenze, che servono non solo a chi cerca un primo impiego ma anche a chi già è all'interno del mercato del lavoro e deve sottoporsi ormai abbastanza necessariamente a fenomeni di reskilling, cioè di aggiornamento delle competenze, o di upskilling, cioè di innalzamento delle competenze. Da questo punto di vista ci sono programmi come GOL ed altri strumenti utili. A che punto siamo, Romano? C'è tanto da lavorare anche in questo caso per trasmettere questa cultura a chi magari è già nel mercato del lavoro si sente temporaneamente a posto? Sappiamo che le crisi sono, purtroppo, dietro l'angolo.

RB - Il primo criterio dovrebbe essere questo: se lavori in un'azienda che non si pone il problema di farti fare dei corsi di formazione o di aggiornamento, il consiglio è di cambiarla, perché non tiene il mercato un'azienda che non punta sul rafforzamento delle competenze dei lavoratori. Anche qui, evidentemente, la situazione è molto disomogenea sul territorio. I nostri occupati hanno migliorato molto il livello medio di accesso a percorsi di formazione, ma siamo comunque ancora sotto rispetto alla media europea. Sono molto fiducioso del successo del nuovo Fondo Nuove Competenze proprio per le caratteristiche di maggiore qualità dell'intervento, e so anche che che stanno andando bene i webinar di informazione che stiamo facendo. Al tempo stesso i disoccupati italiani che vanno coinvolti in percorsi di aggiornamento pregiudiziali alla loro occupabilità sono almeno 500.000 sul 1.400.000 totali, di cui 1.200.000 accedono al programma GOL. È uno sforzo importantissimo, è uno sforzo che deve impattare con alcuni dati di fondo; ad esempio siamo in zona retrocessione insieme alla Grecia, alla Romania e alla Bulgaria rispetto alle competenze digitali di base. Evidentemente questo è il primo intervento che va reso, e con il programma GOL, con le regioni, stiamo decidendo di renderlo obbligatorio per tutti i nostri disoccupati, al di là delle diverse modalità.

Questo perché oggi uno non può nemmeno fare il magazziniere se non sa utilizzare uno strumento digitale. E questo è uno sforzo importantissimo per recuperare un ritardo; c’è la necessità di un'alfabetizzazione di fondo che non divida troppo tra loro i lavoratori, tra quelli che hanno competenze - per cui possono fare carriera e migliorarsi - e altri che invece non le hanno. Perché questo rischio di esclusione, oggi il sistema economico non ce lo può più permettere; perché le aziende che escludono queste competenze, prima o poi, chiudono. Quindi dobbiamo anche sapere che il mercato “fa morti e feriti” tra i lavoratori ma anche tra le aziende, e quindi questo implica uno sforzo collettivo che riguarda anche le piccole imprese, su cui l'elemento del rafforzamento delle competenze è è determinante.

Ci stiamo arrivando Non c'è un aumento del livello di scolarità medio dei giovani italiani ma c'è un aumento della partecipazione a percorsi di rafforzamento del delle competenze; c'è da luglio il decreto che un po' alla volta definirà il sistema di attestazione, validazione, certificazione delle competenze aziendali, perché oggi è qualificante rafforzare, definire gli standard per la formazione non formale, cioè la formazione tendenzialmente aziendale, quella che tutti noi in qualche modo andiamo a fare: dai master ai corsi di di specializzazione, ed è una sfida che stiamo giocando. Bisogna giocarla in tutta Italia, con una forte attenzione al fatto che nessuno può rimanere indietro, pur essendoci ancora una fascia di mercato del lavoro - che vale il 20% - destinabile ai lavoratori che hanno solo l'obbligo formativo. Però è una fascia che si sta asciugando e che comunque non impedisce di utilizzare anche una strumentazione tecnologica anche se non hai la qualifica. Stiamo attenti, perché anche il tema dell'aumento della partecipazione al mercato del lavoro attraverso l'apertura agli immigrati con il Decreto Flussi, funziona nella misura in cui tu introduci nel nostro mercato del lavoro delle competenze; perché abbiamo bisogno di immigrati competenti e non di immigrati che ampliano l'area del lavoro del lavoro sommerso.

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VV - Tutto molto chiaro: essendo una sfida di sistema, ha bisogno di tutti per provare a limare i gap esistenti; tra gli strumenti, lo hai citato più volte nel corso di questa conversazione, c'è il Fondo Nuove Competenze del Ministero del Lavoro. Ci dici perché è così importante e perché bisogna in qualche modo leggerlo, studiarlo? È la terza edizione, questa che sta partendo adesso.

RB – Sì, però è un'edizione completamente nuova; abbiamo deciso di modificarla introducendo fondamentalmente tre grandi novità: la prima è che non diamo i soldi a chi se li prende. Abbiamo diviso il fondo in tre linee di intervento: le grandi imprese agiscono con programmi più finanziati solo se si portano dietro una quota significativa della catena di fornitura.

Le piccole e piccolissime imprese possono chiedere più soldi: fino a 8 milioni di euro, se si mettono in rete, con aggregazioni attraverso i progetti di di filiera. Quindi la prima scelta è stata quella anche di potenziare, favorire i comportamenti aggregativi delle imprese. Altrimenti rischiamo di avere il grande marchio che si prende tanti soldi per formare i suoi interni ma la catena del valore via via distribuita perde: pensate al Made in Italy, no? Il primo punto è favorire le forme di aggregazione e di collaborazione tra le imprese che passano innanzitutto attraverso la contaminazione tra le competenze e percorsi di innovazione di competenza.

Seconda novità, mettere insieme la formazione degli occupati con la formazione dei ragazzi, dei giovani, dei disoccupati preselezionati per l'assunzione. Abbiamo visto che alcuni avvisi di un paio di fondi interprofessionali coglievano bene questo modello. Noi abbiamo cercato di semplificarlo, di renderlo un po' più accessibile; e anche questa è una un'opzione che è stata apprezzata molto dalle imprese; anche se può capitare che se le imprese aderiscono a fondi interprofessionali diversi dovranno comunque scegliere un capofila e poi decidere qual è l'intervento che viene fatto.

La terza cosa è una maggiore apertura agli stagionali per il turismo e per l'agricoltura, in particolare; non possiamo escludere interventi che sono a rischio di basso valore, con una diminuzione delle ore minime a 20 ore anziché a 30 e un allargamento in generale proprio per favorire l'accesso alle piccole imprese e la possibilità di erogare l'intervento formativo attraverso i voucher.

Quindi è un intervento al tempo stesso più inclusivo, ma anche più mirato, più qualitativo.

Nell'ambito dei temi e dei progetti informativi finanziabili abbiamo chiaramente inserito anche l'intelligenza artificiale, l'economia circolare, dicendo che abbiamo voluto anche innovare l'Atlante del lavoro, perché ci eravamo accorti che nei nostri strumenti di certificazione delle competenze non erano presenti le competenze legate al welfare aziendale e al benessere organizzativo. Quindi, in realtà, una linea importante che noi vogliamo sostenere col Fondo è anche l'investimento in misure di organizzazione aziendale, di welfare aziendale, di gestione dei tempi, della conciliazione vita-lavoro, perché oggi le aziende devono sapere offrire buoni luoghi di lavoro; la produttività oggi è nel lavorare meglio, non è nel lavorare di più.

VV - Grazie. Questo invito a leggere, studiare il Fondo Nuove Competenze e guardare i webinar informativi che ci sono in questo periodo lo estendiamo anche agli orientatori, perché più conosciamo queste nuove misure, più possiamo sostenere le scelte delle persone da un lato ma anche delle aziende, degli imprenditori, dei manager che vogliano in qualche modo approcciarsi a questo Fondo. Perché di competenze c’è davvero un enorme bisogno in questo Paese.

Grazie a Romano Benini, è stato un piacere conversare con te.

RB - Grazie a voi, grazie davvero. Resto a vostra disposizione, ogni tanto facciamo magari una chiacchierata su quello che partirà; vi posso fare un preannuncio per le puntate future: stiamo preparando il nuovo Decreto attuativo del Fondo Nazionale per l'Autoimpiego, per tutti coloro che vogliono formarsi, prepararsi e mettersi in proprio. Un altro grande tema di cui parlare.

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Vito Verrastro

Vito Verrastro

Orientatore Asnor, Direttore responsabile del Magazine l'Orientamento, Giornalista, Founder di Lavoradio.

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