Giovedì 21 Novembre 2024

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  • 28/10/2024

LET'S TALK | Puntata 4: Intervista a Gianluca Sabatini e Laura Russo di ELIS

Sono sempre più numerosi i diplomati italiani che scelgono di prendersi un anno sabbatico per sperimentare, riflettere e capire cosa fare della propria vita. Un fenomeno in crescita, spinto da un diffuso senso di disorientamento e da prospettive lavorative poco entusiasmanti.

Puntata 4 – Ospite: ELIS, organizzazione no profit che dal 1965 si occupa di Educazione, Lavoro, Istruzione, Sport. Con noi, Gianluca Sabatini, Responsabile Marketing e Sviluppo Education e Laura Russo, Business Developer Manager per il settore Scuole e Imprese. Conduce l’intervista Vito Verrastro, Direttore Responsabile del magazine l’Orientamento.

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Secondo le ultime rilevazioni di ELIS e Skuola.net, ben il 90% degli studenti si definisce sfiduciato o preoccupato per il proprio futuro, tanto che il 13,8% vorrebbe prendersi una pausa. Un dato che si traduce in un ritardo medio nell'iscrizione all'università di 1,5 anni rispetto ai tradizionali 19 anni.

VV - Eccoci, benvenuti e bentornati a Let's Talk, rubrica della cultura dell'orientamento voluta da Asnor, Associazione Nazionale Orientatori, e dal suo magazine L'orientamento. Oggi parliamo in particolare di orientamento post-scolastico e lo facciamo con una organizzazione che si chiama ELIS, una no profit che dal 1965 opera nei campi dell'educazione, della formazione, del lavoro, dell'istruzione e dello sport. E incrocia ovviamente I nostri temi più cari, quelli dell'orientamento.

La scintilla è arrivata da una ricerca che ELIS ha condotto in collaborazione con Skuola.Net e questo sarà diciamo il focus del nostro incontro, ma questa ricerca si abbina e si combina con altri dati che per esempio quelli di Eurostat che il mese scorso ci ha raccontato come purtroppo in Italia siamo ultimi in classifica per l'occupazione di neodiplomati e di neolaureati e siamo anche tra gli ultimi, da qualche tempo, per numero di laureati. E, come detto, sono sempre più numerosi i diplomati italiani che scelgono di prendersi dopo la scuola superiore un anno sabbatico. Lo fanno forse per riflettere, per sperimentare, per capire davvero cosa fare della propria vita.

Del resto, non devo andare tanto lontano visto che mia figlia Alice, qualche anno fa, dopo il liceo artistico, ha proprio deciso di fermarsi per un anno per riflettere e poi ha intrapreso il suo percorso di studi successivo al diploma.

Quindi è una condizione che probabilmente molti di noi stanno vivendo, direttamente o indirettamente. È un fenomeno in crescita e ovviamente collegato ad un diffuso senso del disorientamento che, evidentemente, dopo la scuola assale, i ragazzi. E anche da prospettive di lavoro poco entusiasmanti, da un racconto di futuro che non è più solido, non è più florido e non invita più al sogno come prima. Secondo le rilevazioni di ELIS e di Skuola.net - ci torneremo su questo dato perché è importante - il 90% degli studenti si definisce sfiduciato o preoccupato per il proprio futuro: 9 su 10, tanto che quasi il 14% prende una pausa e poi decide che cosa fare. Un dato che si traduce in un ritardo medio nell'iscrizione all'università di 1, 5 anni rispetto ai tradizionali 19 anni. E tutto questo poi si riverbera in altri effetti che proveremo poi a snocciolare. Ma prima di addentrarci nel focus di questo incontro, di questa intervista, di questo Let's Talk, andiamo a conoscere Elis con Gianluca Sabatini.

GS - Grazie Vito. Come raccontavi tu, in apertura, ELIS è proprio acronimo di queste quattro direttrici, Educazione, Lavoro, Istruzione e Sport, perché sin dalla sua fondazione ha posto l'accento sulla necessità di creare un sistema educativo nei confronti dei giovani e di chi già si trova a lavorare, andando a coniugare tutte quelle che sono le dimensioni che permettono ad una persona di trovare, scoprire e far crescere la propria vocazione professionale e la propria professionalità. E quindi questa, con gli anni, è diventata sempre più una missione che cerchiamo di portare avanti sia per formare le persone che hanno già un'idea chiara di quello che può essere la loro professione, il proprio lavoro, sia soprattutto i giovani e i giovanissimi ad orientarsi all'interno di un contesto caratterizzato da forte incertezza, da forte volatilità, da forte imprevedibilità. Leggevo una ricerca recente che rivelava come oltre il 70% dei lavoratori italiani in questo momento dichiarano di non essere felici e soddisfatti del proprio lavoro.

Quindi va da sé che, a cascata, dei giovani che vedono questo contesto, in famiglia o comunque nel contesto di prossimità, è chiaro che si pongano il dubbio di proiettarsi tra 20-30 anni, se vogliano effettivamente vivere questa stessa condizione, situazione, dimensione; se poi a questo aggiungiamo la complessità di quelle che sono professioni che nascono, che muoiono, mercati che cambiano, sistemi all'interno anche del nostro Paese molto disomogenei tra città, periferie, regioni, è chiaro che questo tema per i giovani sia centrale. Quindi con ELIS, sempre di più ci stiamo ponendo non solo il tema di garantire a chi lavora la possibilità di aggiornare o a volte addirittura cambiare completamente le proprie competenze, le proprie capacità, per essere competitivo nel mondo del lavoro, ma ci stiamo interrogando sempre di più sul come aiutare i giovani e tutti coloro intorno a un giovane (scuola, università, genitori, professori) a dare fiducia e una prospettiva alle nuove generazioni.

Abbiamo un dialogo costante con il mercato del lavoro, con le imprese, con coloro che oggi comunque portano alla nostra attenzione un paradosso: da un lato pochi laureati, da un lato un tasso di disoccupazione basso, nonostante le imprese italiane lamentino la difficoltà nel reperire persone con le competenze, le skills e le capacità di cui hanno bisogno. Questo è un malessere che il mercato del lavoro denota sia per quelle professioni più tecnico-specialistiche, sia per quelle professioni legate, come spesso si sente dire, alle discipline più STEM, più digitali, più matematiche e informatiche.

Quindi, di fronte a questa dicotomia, a questo paradosso, come ELIS cerchiamo di porci in mezzo al mercato del lavoro che ha difficoltà a reperire e a trovare le competenze di cui ha bisogno e invece poi un contesto di giovani e meno giovani che sono sfiduciati, lontani, e tendono a non avvicinarsi al mercato del lavoro e all'opportunità che realmente ci sono. Quindi un po' il nostro ruolo è questo di raccordo di abilitatore, di ponte tra questi due mondi.

VV - Insomma siamo sulla stessa barca in un mare molto tempestoso, se vogliamo usare questa metafora; ma come tutte le grandi sfide, fare sistema, entrare in un ecosistema è la risposta migliore perché ognuno di noi, ogni nostra organizzazione può fare tanto di più se in qualche modo si interconnette con le altre che viaggiano in questa direzione di utilità al futuro per tutti noi, in particolare per i giovani di cui stiamo parlando.

Torniamo sul dato che citavo prima, quello del 90% degli studenti che si definisce sfiduciato o preoccupato per il proprio futuro: 9 su 10!  Questa sfiducia, questo disorientamento, questa paura, questa ansia che è sempre più diffusa, portano a prendersi questa pausa dopo gli studi, dopo il diploma, e portano probabilmente a diminuire anche le iscrizioni all'università. Ma probabilmente tutto questo poi si collega, come diceva anche lo stesso Gianluca, a fenomeni che guardiamo e analizziamo all'interno del mercato del lavoro come il disimpegno, il disengagement, il quiet quitting, cioè fare il minimo indispensabile e non sentirsi coinvolti nelle attività di lavoro, se non andarsene proprio da qualche altra parte a cercare qualcosa che sia più in linea, che abbia più senso per noi, al di là di carriere avviate, al di là anche di stipendi più che dignitosi. E fino ad arrivare ad ansia, a burnout e tutte queste patologie che stiamo imparando a conoscere molto velocemente. Tutti questi fenomeni sono così correlati?

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GS - Vito, la mia, innanzitutto, chiarisco, è una riflessione, un’osservazione da un soggetto che opera all'interno di questo sistema e sicuramente non ho la pretesa di condividere un pensiero approfondito che lascio ai sociologi, a coloro che studiano in maniera molto più attenta questi fenomeni. Posso condividere quelle che sono alcune esperienze, alcune condivisioni avute con appunto i giovani con cui ci troviamo a lavorare e a confrontarci.

Da un lato potremmo vedere l'aspetto positivo di questo fenomeno: ovvero, proprio perché c'è poca convinzione, poca chiarezza e poca consapevolezza di quello che può e vuole essere il proprio percorso, piuttosto che iniziare una cosa qualsiasi, piuttosto che intraprendere o iscrivermi ad un'università o iniziare un lavoro che già so che non mi accende, preferisco non perdere tempo, magari non far perdere soldi alla mia famiglia, o comunque non impelagarmi in qualcosa che già inizierei con il piede sbagliato.

Questo è uno dei feedback avuti sul campo da alcuni di questi ragazzi e questo è l'aspetto, se vogliamo, anche positivo del senso di responsabilità che io vedo in questa generazione che dice no, non sono convinto, quindi non voglio perdere tempo e far perdere tempo, energie o soldi a chi mi sta intorno.

Dall'altro canto, se tu stesso citavi prima un'esperienza personale, posso citare la mia, ma se penso anche quella dei miei coetanei, che invece questa scelta l'hanno fatta 25 anni or sono, anche 30, eravamo comunque tutti incerti, dubbiosi; di sicuro se penso a quando mi sono iscritto io all'Università, non è che avessi già davanti il disegno di quello che sarebbe stato il mio percorso. Avevo un'idea di massima che piano piano mi sono chiarito; e quindi, se abbiamo visto un po' l'aspetto positivo di questo fenomeno, l'aspetto a mio avviso negativo è inveceoggi la mancanza di intraprendenza, per certi versi, e la paura che queste nuove generazioni hanno di sbagliare. Ci sta iscriversi a un'Università e magari cambiare idea dopo uno o due anni e forse - e di nuovo questo lo dico perché è quello che mi è stato riportato da alcuni giovani intervistati - c'è molta paura del fallimento, cioè l'iniziare un percorso e poi interromperlo, cambiarlo, invece di essere visto come un qualcosa di normale rispetto a un percorso di crescita che è fatto anche di insuccessi; anzi, io che ho la barba bianca, posso dire che un percorso di maturazione e di crescita è fatto molto più di insuccessi che di successi.

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Ecco, questo forse è un paradigma che nelle nuove generazioni stiamo cogliendo un po' di meno, che facciamo fatica a vedere. Figlio forse di una cultura che tende ad incensare, ad enfatizzare molto i successi e i traguardi che vengono raggiunti, forse stiamo perdendo un po' di vista l'importanza di sottolineare il fatto che l'insuccesso è educante tanto quanto - se non a volte addirittura di più - di un successo. Quindi mi sento di sottolineare questo aspetto, cioè che la pausa spesso è dettata dalla paura di sbagliare, dalla paura di fare una scelta. Dobbiamo aiutare i giovani a fare proprio questo concetto di crescita attraverso gli insuccessi.

VV - Ottimi temi che impattano sulla cultura, su un cambiamento culturale che appunto non produca più stigma rispetto al fallimento ma che consideri il fallimento, gli errori, gli sbagli come processi inevitabili di crescita. Io cito sempre la biografia di Elon Musk perché noi tutti guardiamo i suoi enormi successi, ma se leggiamo la biografia scopriamo i suoi tanti fallimenti; e quindi bisogna un po' parametrare il tutto non a quello che vediamo ma a quello che ognuno di noi nel proprio percorso, più o meno irregolare, più o meno su montagne russe, attraversa. Questo va trasmesso ai giovani. Per questo chiedo, e chiamo in causa Laura Russo, come può in qualche modo poi la scuola, l'orientamento scolastico, aiutare questi ragazzi a prendere decisioni più consapevoli ma anche ad assumersi questa responsabilità del rischio, sapendo che un errore non sarà determinante per un fallimento totale della propria vita. Cioè, c'è la possibilità di fare qualcosa di più dentro la scuola per formare questi ragazzi ad avere spalle un po' più larghe?

LR - Allora, intanto, il ringraziamento ad Asnor per l'invito; assolutamente sì, l'orientamento scolastico può fare, può fare molto. Hai citato bene i temi, cosa può fare la scuola in questo? Può sicuramente far sperimentare i ragazzi. Oggi, anche l'attuale Ministro, con la riforma dell'orientamento, pone proprio l'attenzione su questo grande tema, quindi come si affronta l'orientamento oggi nelle scuole. Non può essere più soltanto visto come una scheda da compilare al termine del percorso per indirizzare il ragazzo, ma deve essere un percorso che segue l'individualità del ragazzo nel corso degli anni. Come ELIS abbiamo un'esperienza molto forte, perché con l'alternanza scuola lavoro e oggi i progetti di PCTO, quello che facciamo è portare le imprese all'interno delle scuole e le scuole all'interno delle imprese proprio per cercare di far scoprire ai ragazzi quelli che sono i mestieri, i trend rispetto a tematiche molto grandi; si parla di transizioni ecologiche, energetiche, digitali, ma i ragazzi molte volte non hanno contezza di che mestieri sono correlati a queste grandi tematiche. Quindi un primo modo sicuramente è quello di portare la scoperta di quelle che sono delle professionalità, ma anche quelle che sono le competenze.

Quando noi facciamo sperimentare i ragazzi, che molte volte seguono una lezione molto più teorica e hanno poco spazio, magari a fare pratica, attraverso delle challenge, dei contest, degli strumenti che noi utilizziamo, il ragazzo scopre molto di sé. Si mette più al centro di una dinamica che può essere quella del team, quella della comunicazione, di interfacciarsi con persone d'azienda che hanno ruoli diversi dal proprio professore; ci sono professori che ci dicono di aver scoperto molto di più del proprio studente attraverso il percorso di PCTO, quindi guardando come si poneva di fronte a una tematica più grande di lui, rispetto alla singola interrogazione, dove magari il ragazzo non riusciva a brillare perché aveva altro come competenze, come attitudini, che è riuscito invece a trasferire in un'attività pratica.

L'orientamento deve quindi porre al centro il ragazzo, deve portare alcuni concetti già all'interno della scuola ma soprattutto c'è un po' l'arte del fare, quella di poter far sporcare le mani nel vero senso della parola. Se sono Istituti tecnici, occorre aumentare l'attività per esempio laboratoriale, far scoprire già quello che piace, far scoprire già quello che magari si è meno portati a fare o quello su cui dobbiamo investire maggiormente se vogliamo raggiungere un traguardo.

VV – Assolutamente, concordo con questa visione che si sta realizzando forse un po' lentamente ma pian piano all'interno delle scuole. Il futuro si gioca molto su attitudini, su competenze. E allora le competenze e le attitudini vengono fuori spesso in ambienti non formali o informali, così come possono venire fuori in un anno sabbatico in cui se i ragazzi si espongono alla vita, ad esperienze più svariate, prendono la valigia e viaggiano, probabilmente acquisiscono anche delle competenze importanti per il futuro che torneranno utili nel mondo del lavoro. E così? O è una visione troppo romantica che sto raccontando?

LR - Guarda Vito, io credo che sia così. Se l'anno sabbatico non è l'anno di creazione di nuovi NEET, quindi di nuove persone che non lavorano e non studiano, ma è invece un anno di presa di consapevolezza, è molto utile. Un ragazzo alla maggior età è di fronte alla prima vera prima scelta che intraprende in autonomia, mentre prima la vita è stata un po' più condizionata dalla scuola, dai genitori, quindi da una comunità educante che pensa a lui. In quel momento, invece, loro si sentono di dover correre e pensano di aver bisogno di prendersi del tempo.

Pensiamo anche che per molti il periodo di studi è un periodo faticoso a livello psico-fisico e anche a livello di motivazione e di stress. Quindi, quello è il primo momento in cui prendere coscienza di se stessi. Quindi avere l'anno sabatico per fare esperienze all'estero, lavori stagionali, ma anche per dedicarsi alle proprie passioni, può non essere un male. Alla fine, questa è la generazione che ha assimilato ancora più il concetto che la vita è solo una (si parla tanto di YOLO philosophy, ndr) e va anche un po' vissuta. Quindi non demonizzerei in qualche modo l’anno sabbatico se serve per la costruzione del sé, che è un aspetto importantissimo a quell'età. Non per citare una frase troppo famosa e veramente ormai troppo scontata, però quando si dice “l'unire i puntini” è un po' questo.

Noi abbiamo portato in aula una persona che aveva fatto un percorso di studi, che aveva interrotto, che poi aveva aperto una startup e che ha fallito, e che poi è riuscito a trovare un grandioso percorso. Questo a dimostrazione che la piccola esperienza che aveva fatto l'anno in cui aveva interrotto, studiando la lingua, gli aveva permesso poi di fare un salto. Alla fine, andando avanti, ha ricostruito il proprio percorso personale capendo che tutti quei puntini, step, anche interruzioni, l'hanno guidato ad essere quello che poi è diventato. Questo non possiamo tralasciarlo. Le competenze che si sviluppano poi, dicevi bene - vengono chiamate life skills, quelle trasversali proprio perché sono quelle che noi applichiamo nella vita di tutti i giorni -, sono fondamentali: il pensiero critico, il problem solving, la gestione dello stress - pensiamo a chi fa il cameriere, magari pensando che sia semplicemente un lavoretto, ma in realtà mette insieme una serie di competenze che poi lo guidano nella scelta, magari anche di quello che si farà in futuro. Quindi io sono d'accordo sull'anno sabbatico se serve effettivamente nella costruzione del sé, quindi anche di un bagaglio di competenze.

VV - Un’ultima domanda, che chiama in causa entrambi. Ci hai detto, Laura, che alcuni ragazzi si fermano perché non sanno cosa fare, altri per prendersi tempo per valutare davvero che cosa fare con senso di responsabilità, come ci diceva anche Gianluca. Dalle vostre risultanze viene fuori che questo anno sabbatico aiuta realmente i ragazzi a capire meglio cosa fare. In ottica di futuro, è sempre bene avere maggiore consapevolezza di sé: lo si può fare da soli o magari è meglio farsi affiancare da professionisti - qui siamo nella casa degli Orientatori - che possono aiutare e supportare le scelte per il futuro?

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GS - Sicuramente il supporto esterno di qualcuno che può aiutare i giovani a porsi le giuste domande - che ricordo sempre, è il ruolo principale di ogni orientatore, non quello di dare risposte ma quello di aiutare un giovane a capire quali possono essere le giuste domande da porsi e facilitare in lui appunto la ricerca delle risposte che, come dicevamo prima, possono anche ovviamente cambiare e mutare nel tempo -.

È fondamentale perché il contesto in cui oggi sono immersi difficilmente vede intorno a loro persone motivate, proattive, desiderose di aiutarli a trasferire quella positività di cui loro hanno bisogno a quell'età, di cui tutti noi avevamo bisogno a quell'età.

Quindi il ruolo dell'Orientatore a mio avviso diventa fondamentale, in questo senso, per sostenere quel processo decisionale, di consapevolezza e di maturità. E, come dicevi tu, sarebbe molto interessante - e me lo prendo come uno dei punti da indagare, perché ancora non l'abbiamo indagato, la nostra ricerca si è basata solo su un campione di studenti di scuole superiori che hanno detto mi piacerebbe fare il sabbatico - proviamo adesso a interrogare anche chi magari quell'anno sabbatico l'ha effettivamente preso e vedere se è stato un plus o un minus rispetto alla sua esperienza. Su questo non ho dei dati, magari ci ritroveremo tra qualche mese a commentare proprio questo tipo di indagini.

LR - Aggiungo che sicuramente le figure esterne aiutano, ma aiutano proprio perché supportano il ragazzo nel porsi domande, quindi nello scoprire qualcosa di sé che molte volte è ancora ignoto. Noi in questo abbiamo avviato questo progetto, che poi è il centro nazionale per l'orientamento, anche un po' con questo obiettivo, con una piattaforma online che possa guidare il ragazzo alla scoperta di qualcosa di sé, ma anche un luogo fisico che invece vuole essere proprio un punto di ritrovo per ascoltare, per vivere, per sperimentare. Quindi la nostra idea era proprio questa: metterci tra la scuola e il lavoro, entrare anche nella scuola, supportando questa fase con dei professionisti, con delle persone di impresa, con chi ha anche fallito, perché un'altra ricerca che abbiamo sviluppato per far nascere questo Centro Nazionale dell'Orientamento ha dimostrato che i ragazzi chiedono di portare qualcuno che ha fallito; quindi loro vogliono, quello che dicevate anche prima, vedere anche storie di fallimenti, e questo la dice molto su un nuovo modo di ripensare I successi.

Il tema di porsi le giuste domande diventa fondamentale in una società in cui anche l'intelligenza artificiale molte volte dà le risposte; ma è l'insight, la domanda giusta che poni che poi può sviluppare la risposta. Quindi, in questo va ripensato il perché proprio delle cose e non il come per andare un po' più in profondità. L'orientatore, professionisti di impresa, anche la nuova figura - diamo fiducia - dell'orientatore scolastico che è stata introdotta, possono essere a sostegno dello studente, della studentessa nel proprio progetto di vita.

VV - Grazie, ci dobbiamo innamorare delle domande più che delle risposte, sono perfettamente convinto perché la scoperta di sé è un viaggio continuo, infinito, però il miglior investimento che si possa fare proprio in tempi di incertezza e di complessità è proprio quello su se stessi. E quindi grazie a ELIS, grazie a Laura Russo e Gianluca Sabatini per averci dato questa panoramica su questa interessante ricerca su cui torneremo, come ci siamo detti.

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Vito Verrastro

Vito Verrastro

Orientatore Asnor, Direttore responsabile del Magazine l'Orientamento, Giornalista, Founder di Lavoradio.

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