Domenica 22 Dicembre 2024

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  • 17/2/2023

Formazione Asnor: intervista a Monica Fugaro, Dirigente scolastica

In questa intervista, l’Orientatrice Asnor Paola Scarel ha rivolto alcune domande alla dott.ssa Monica Fugaro, Dirigente presso l’Istituto Comprensivo“Viale Legnano” a Parabiago, che ha svolto presso Asnor il Corso di Alta Formazione “Consulente esperto nei processi di Orientamento e Career Guidance”. Monica ci racconta la sua esperienza di passaggio da Docente a Dirigente e l’incontro avvenuto con Asnor.

Asnor - Associazione Nazionale Orientatori offre da anni percorsi di Alta Formazione sulla professione di Orientatore/Orientatrice destinati anche a scuole, docenti e dirigenti. Alcuni di questi affrontano il tema dell’orientamento permanente, promuovendone l’inserimento già dai primissimi anni della scuola dell’infanzia. Sono diverse centinaia i docenti e i dirigenti provenienti da tutte le regioni d’Italia che annualmente affrontano questi percorsi.

L’Orientatrice Asnor Paola Scarel ha intervistato la dott.ssa Monica Fugaro, Dirigente presso l’Istituto Comprensivo “Viale Legnano” a Parabiago, un comune di quasi trentamila abitanti della Città Metropolitana di Milano. In questa intervista, Monica ci racconta la sua esperienza di passaggio da Docente a Dirigente e l’incontro con Asnor, che ha accentuato il suo già acceso interesse verso i temi dell’Orientamento e della Didattica orientativa.

Buonasera Monica, Lei dirige un Istituto Comprensivo e oggi, la sua scuola, propone anche un servizio permanente per l’orientamento. Ci racconta come ha incontrato Asnor e cosa l’ha spinta a scegliere i percorsi formativi specifici per le scuole?

«Dal settembre 2019 sono Dirigente dell’Istituto Comprensivo “Viale Legnano”di Parabiago, dopo oltre vent’anni trascorsi nella scuola come docente. Ho conosciuto Asnor tramite un contatto quasi casuale, un annuncio su Internet. Ho saputo dell’opportunità di aderire a delle Borse di studio direttamente dall’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia. Ho cominciato così ad interessarmi di didattica orientativa e ho scoperto che Asnor propone dei percorsi ricchi e molto interessanti».

Cosa condivide dell’approccio di Asnor verso l’Orientamento?

«Anche se ora dirigo un Comprensivo, ho sempre avuto la mentalità dell’orientamento, fin da quando è decollata - anche nei Licei - l'Alternanza Scuola Lavoro (oggi PCTO). Durante la mia esperienza di referente, per il Liceo delle scienze applicate dove lavoravo all’epoca, mi si è aperto un mondo di conoscenze.

Mi sono sempre resa conto che il mio lavoro non era soltanto la didattica, o soltanto la letteratura inglese, non è mai stato solo questo per me. Sono sempre stata una persona eclettica. Una città come Milano offre veramente tanto ed io cercavo di trasferire tutte le mie conoscenze ai miei studenti. Avendone la possibilità, abbiamo fatto dei progetti bellissimi: con i Teatri, con le Università. Quando ancora la DAD non era un obbligo noi lavoravamo già da remoto. Abbiamo fatto un progetto anche con l'Università di Southampton.

L’orientamento è una questione di mentalità (di flessibilità e di apertura all’altro e al diverso) che ti fa capire che è il mondo che deve entrare a scuola. Penso, infatti, che la scuola non sia una monade. La vedo piuttosto come un ipertesto per eccellenza, con tanti rami e articolazioni. E anche i ragazzi/i bambini devono stare sul territorio, devono conoscere.Vedo nella scuola un’agenzia educativa, non un luogo per la semplice trasmissione del sapere, che deve dare l'opportunità di conoscere e di scoprire cose nuove. I ragazzi non hanno tutti le stesse famiglie, no? E quindi non hanno tutti le medesime possibilità».

Che tipo di direzione ha voluto dare alla sua Scuola?

«All’inizio è stata una sfida. Provenendo da un contesto molto all’avanguardia, all'improvviso mi sono trovata a dirigere una scuola che aveva ancora un’impostazione più tradizionale e negli ultimi tre anni ho lavorato veramente tanto per poterla trasformare, per renderla più adeguata ai tempi che viviamo, più pronta a reagire positivamente alle richieste che arrivano dall’esterno».

In cosa le sono stati utili i Percorsi formativi proposti da Asnor?

«Per avviare una trasformazione, lo devi fare con la sostanza e con dei buoni argomenti e questo significa che anche tu, per essere convincente, ti devi formare. Per ottenere dei risultati, occorre esprimere dei contenuti concreti. Non basta, come forse alcuni pensano, avere il fascino o il titolo del dirigente, ma occorre portare delle esperienze, delle evidenze, di quello che dici e, soprattutto, devi farlo rispettando il contesto in cui ti trovi e utilizzando il linguaggio giusto.

E con questo mi ricollego all’esempio dell’Alternanza, che è molto legata ai temi dell’Orientamento permanente, come li tratta Asnor, perché aiuta ad uscire dalla zona di comfort. Una cosa è essere bravi a scuola, avere conoscenze e abilità e riuscire a districarsi nei compiti scolastici tradizionali, un'altra cosa è come te la cavi in un contesto che ha regole diverse, che non ti assegna compiti ma problemi da risolvere. Se penso a me stessa, anch'io credo di essere stata una brava docente per vent'anni, nelle scuole superiori. Avevo imparato a fare il mio lavoro e mi muovevo con dimestichezza in quell’ambiente.

Poi, il 28 di agosto di qualche anno fa, scopro che vado a dirigere un Istituto Comprensivo. Sulla carta lo conosco, so come funziona, l’ho studiato ma non ci ho mai messo piede. E scopro che è un mondo diversissimo per me, con una sua complessità che forse non viene neanche tanto percepita dall’esterno, dai non addetti ai lavori. Il Dirigente di un Comprensivo lavora con tre ordini di scuole diverse. Sono tre mondi, tre formazioni diverse e proprio delle persone che vai a dirigere, per cui una gestione unitaria non è semplice. Se poi hai anche cinque edifici sparsi per la città, le cose si complicano ulteriormente».

E in tutto questo, come rientra l’Orientamento?

«L’orientamento è la chiave. Succede che, in qualche modo, te la cavi comunque e questo perché - per fortuna - non c'è soltanto lo studio matto e disperato sulla carta, ci sono competenze che vengono da altri mondi, da altre esperienze, e quando le possiedi puoi in qualche modo metterle a sistema, replicare e rimodulare. Io l’ho fatto ed è per questo che so che tutte le esperienze che fai, nel momento del bisogno, quando affronti qualcosa di nuovo, ti vengono in soccorso, diventano il salvagente che ti sostiene e aumentano la tua autostima. Ed è con questo spirito che cerco di far crescere anche la mia Scuola».

Lo comprendo e la ringrazio per averne parlato. Il tema dell’esperienza come parte della vita scolastica è un tema caro a chi si occupa di Orientamento permanente ed è naturalmente ripreso da più parti anche all’interno dei percorsi formativi di Asnor. Tra l’altro, Lei si è formata in prima persona, ci sono degli aspetti, delle tecniche o delle metodologie, tra quelle proposte da Asnor, che vorrebbe introdurre anche nella sua Scuola?

«Sì, ho seguito il percorso più lungo (quello per Consulente esperto nei processi di orientamento e Career guidance). Ad esempio, mi piacerebbe molto introdurre la dimensione del Counseling a scuola, e mi piacerebbe farlo a partire dai bambini più piccoli. Abbiamo sviluppato un progetto con la scuola primaria, dove ci siamo organizzati dei momenti di Circle time con quella famosa Invision di cui parla anche Asnor nel suo corso. Noi ci abbiamo provato, con il supporto di una maestra bravissima, laureata in psicologia e mi piacerebbe riproporre l’esperienza con delle figure professioniste del settore dell’orientamento. Con i docenti, invece, abbiamo organizzato un altro momento informale, abbiamo fatto un corso sulla Comunicazione non violenta.

Poi, da Asnor, sembra uscir fuori, almeno io l'ho percepita così, una visione un po’ nordica della scuola, un po’ svedese. Ed è proprio il tipo di impostazione che a me piace. Come dire, mi piace l’idea di creare questa verticalità, che purtroppo spesso sembra esistere soltanto nei documenti del Ministero. Mi riferisco al far sentire le persone parte di un unico Comprensivo e non all’interno di categorie chiuse.

Evitare di segmentare troppo, insomma, un concetto che probabilmente è più semplice incontrare in altri contesti europei. Anche la dimensione europea di Asnor l'ho sentita emergere dal Percorso e mi è piaciuta. Naturalmente mi è capitato di leggere tanto sull'orientamento ma nell’approccio di Asnor c’era una differenza, ed era una connotazione che mi risuonava, era nelle mie corde insomma».

Parliamo di relazioni, e di resistenza al cambiamento, come si presentano questi aspetti nel suo Istituto?

«All’interno di ogni organizzazione ci sono sempre quelle quattro o cinque persone, io ormai lo dico scherzando, “che hanno un problema per ogni soluzione, non la soluzione del problema”. Ma a fare resistenza al cambiamento oggi è un gruppo sempre più esiguo, perché in realtà, l'adesione e il consenso stanno aumentando. Diciamo che nelle relazioni a scuola la prima strategia è quella di integrare su base volontaria, di proporre delle iniziative senza imporsi».

Parlando invece della dimensione ecologica che riguarda l’organizzazione degli spazi, la strumentazione disponibile e la progettazione didattica, a che punto siete?

«Beh, su questo aspetto ritengo che la nostra scuola stia veramente al passo con le innovazioni più accreditate a livello europeo. Tutte le nostre aule sono dotate di Lim. Abbiamo anche la classe mobile, quindi un carrello con i Chromebook, perché con i piccoli preferiamo usare i Chromebook.

La nostra idea è che la classe stessa sia un laboratorio e quindi, che si trasformi secondo le esigenze e a seconda della disciplina. Non abbiamo pensato ad aule tematiche, perché sono due correnti di pensiero diverse. Abbiamo trasformato la classe in laboratorio, con in più la possibilità di personalizzare lo spazio che i ragazzi vivono, con il contributo della docente di arte. L’idea è che gli studenti potranno arredarla e colorarla come preferiscono».

Se ho ben compreso, la classe diventa un ambiente personalizzato, e pertanto lavorate molto anche sugli aspetti della relazione, come il senso di appartenenza e la collaborazione. Cosa ne pensa della personalizzazione degli obiettivi e della didattica per compiti di realtà?

«Come accennavo, in questi tre anni noi siamo andati verso una progettualità di tipo sistemico. Abbiamo molte iniziative ma che si ripetono. Ad esempio, tutti lavoriamo sulla Costituzione o sulla Sostenibilità e lo facciamo attraverso i progetti e una didattica per competenze. Occorre capire che i compiti di realtà si comprendono molto meglio quando si fanno fin da piccoli per poi continuare a sviluppare queste capacità negli anni a seguire, secondo una logica verticale.

La nostra scuola si distingue per questo modo di lavorare. Dopo quattro anni che abbiamo introdotto queste metodologie, abbiamo cominciato a essere riconosciuti finalmente. Molti genitori ci scelgono anche per questo. Significa che abbiamo colto un’esigenza che già c’era, di una scuola e di una didattica nuove, e i risultati che otteniamo sono soddisfacenti».

Quindi avete connotato l'offerta della scuola su dimensioni come lo Sviluppo dei talenti, l'Autonomia organizzativa, i Principi di cittadinanza, ecc. Ma non si tratta di quelle Competenze trasversali sempre più promosse in ambito Europeo?

«Sì, è così. Da noi il progetto non è una cosa in più, perché è parte della didattica. Progettiamo le attività al mattino, con una didattica project based learning. Quindi andiamo in quella direzione anche per quanto riguarda la trasversalità dell'Educazione civica. Considerata da molti “una disciplina non disciplina”, l’Educazione Civica in realtà è dappertutto. Non c’è una classe di concorso per insegnarla ma le competenze civiche servono in ogni luogo, e ci sono in ogni aspetto della vita, anche in questo dialogo tra me e lei».

Ha ragione, quindi lavorate per progetti?

«Noi lavoriamo per sfide. È un modello in cui non c’è un’unica soluzione giusta, non si tratta di utilizzare una regola o una formula. A volte arriviamo a conclusioni inaspettate anche per noi, quindi lavorando per sfide c’è anche questo aspetto della sorpresa.
Mentre nella tradizione scolastica classica l’insegnante è quello che sa, da noi il maestro è colui che accompagna, un moderatore. Lavorare insieme è molto più interessante e più sfidante, perché così facendo la scuola si rinnova. Ogni giorno è diverso e ed è molto più stimolante per tutti, per i bambini ma anche per i docenti».

In Orientamento permanente si parla molto di “contaminazione”, intendendo un passaggio di informazioni costante tra la scuola e l’ambiente esterno. Lei cosa ne pensa?

«Siamo molto aperti alle istanze del territorio (locali) ma anche a quelle nazionali e internazionali. Con i bambini più piccoli non siamo riusciti a fare Erasmus, ma lo facciamo con le medie e anche con una terza della scuola primaria. Abbiamo un progetto Erasmus di educazione civica, in collaborazione con dei docenti E-Campus, assieme ad un'altra scuola di Milano. Si parla di cittadinanza, è chiaro che la fase dello scambio non avverrà con dei bambini così piccoli ma poi, alle medie, sarà possibile anche pensare ad uno scambio all’estero».

Quali progetti avete “in cantiere” per introdurre l’Orientamento fin dai primissimi anni?

«Ci occupiamo di orientamento già da alcuni anni. Abbiamo un’Orientatrice professionista che segue i ragazzi al terzo anno (delle medie n.d.r.) ma ci siamo detti che dobbiamo iniziare almeno al secondo anno e quindi, adesso, lo facciamo già dalla classe seconda.

Ci siamo aperti anche a quello che offrono le imprese del territorio e abbiamo fatto un junior achievement, ma ci sono anche tanti enti no-profit che fanno dei progetti interessanti. Uno di questi, che trovo bellissimo, ingaggia delle role-models, delle donne imprenditrici. Abbiamo potuto affrontare anche il problema legato al gender gap, per avvicinare le ragazze alle materie scientifiche. Sono intervenute delle ricercatrici del settore farmaceutico, tutte persone interessanti e giovani tra i 30 e i 40 anni, che hanno parlato a tutta la classe ma con un focus sull’ambiente femminile e di questa professione che, apparentemente o per retaggio culturale, sembrerebbe essere meno appetibile per le ragazze.

Ma non ci siamo fermati qui. Con i più piccoli, i bambini della primaria, abbiamo fatto i circle time, quindi le invision di cui parla anche Asnor. Ad esempio gli abbiamo chiesto: “come ti immagini tra 5, 10 anni?” E abbiamo ragionato nel concreto, su quali azioni potevano mettere in campo. Certo, si parla di un futuro abbastanza lontano ma già il fatto di pensare al futuro per loro è stata una cosa interessante e utile».

E quale è stata la reazione delle famiglie?

«Abbiamo coinvolto anche loro. Abbiamo chiesto ai genitori, o a qualche membro della famiglia, di venire a parlare della loro professione. Abbiamo organizzato dei venerdì pomeriggio in cui parlavano alla classe, e anche da qui sono usciti degli spunti molto interessanti. Naturalmente, abbiamo dato spazio a tutte le professioni, dal commercialista al meccanico, fino all'educatrice di asilo nido. In questo modo, abbiamo recuperato anche il legame con le famiglie che finalmente potevano entrare a scuola, visto che per un po’ abbiamo dovuto tenerli all'esterno».

Sempre in tema di didattica orientativa, mi aveva accennato della vostra partecipazione al Festival dell’innovazione scolastica di Valdobbiadene, ce lo vuole raccontare?

«Al Festival dell’innovazione scolastica di Valdobbiadene abbiamo portato un progetto che è in linea con le indicazioni ministeriali e con le raccomandazioni europee in tema di orientamento permanente, che ci suggeriscono che non è mai troppo presto per iniziare con la didattica orientativa.

E noi ci siamo divertiti a iniziare con i bimbi grandi dell'infanzia, quelli di cinque anni. Abbiamo voluto metterli a contatto con il mondo, che è fatto anche di professioni semplici. Ad esempio abbiamo invitato la postina e le abbiamo chiesto di spiegare cosa fa. A noi adulti può sembrare banale ma un bambino ha bisogno di “toccare con mano”, altrimenti rimane tutto irreale e così, finalmente, hanno capito come viaggiano queste lettere e quanta strada fanno e quante persone le controllano prima di essere consegnate.

Tutto è nato da un progetto di service learning, l’Albergo del Nonno, che abbiamo sviluppato con una RSA (Residenza Sanitaria per Anziani n.d.r.) che si trova vicino alla nostra scuola. I bambini avevano avviato una corrispondenza con gli ospiti della RSA, che in realtà dista da noi appena 300 o 400 metri, ma la postina ha spiegato tutti i passaggi che facevano le loro letterine e perché non arrivavano subito.

Grazie a questa iniziativa, i bambini hanno conosciuto il personale della RSA, hanno capito cosa fanno. Tuttoè stato realizzato  in maniera semplice e nel rispetto della loro maturità e sensibilità, infatti nessuno è stato forzato, lo devo proprio dire: “nessuno studente è stato maltrattato per questo progetto"

Sembra ridondante ma, in realtà, spesso gli studenti vivono le esperienze proposte della scuola come “calate dall'alto”, come fossero imposte, anche quando non lo sono. Insomma, sono prevenuti, ed è uno dei fattori che poi demotivano alla partecipazione. Questo io lo vedo, e l'ho visto, soprattutto con i ragazzi più grandi. Noi adulti, noi docenti, dobbiamo prendercene la responsabilità, perché molto dipende dall'impianto stesso della scuola».

Al Festival avete presentato i vostri progetti?

«Sì certo, e abbiamo prodotto anche un video in cui abbiamo presentato tutte le attività che svolgiamo in tema di orientamento, facendo vedere come si sviluppano, a partire dalla scuola dell'infanzia, e poi con la primaria e con la secondaria di primo grado. Abbiamo condiviso tutte le misure che mettiamo in campo per accompagnare gli studenti ad autodeterminarsi, senza nessuna pretesa di essere esaustivi perché sappiamo che l'orientamento è un processo permanente. E quindi, come dire, puoi lanciare delle scintille ma poi è sempre tutto in movimento, in trasformazione».

Ce lo descrive?

«Nel video, ci sono i bambini che raccontano l’esperienza. Abbiamo lasciato che parlassero loro e abbiamo lasciato anche tutte le imperfezioni, perché non ci piaceva l’idea di correggere l'errore e non volevamo eliminare nessuno. Ciascuno di loro ha dato quello che ha potuto. Siccome sono progetti fatti in classe, da docenti che hanno dedicato tanto tempo, tanta cura, forse la cosa migliore è vederlo».

Per guardare il video, clicca qui
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Paola Scarel

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