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- 1/2/2023
I paradigmi dell'orientamento per l'inclusione socio-lavorativa
In questo articolo vengono presentati i paradigmi dell’orientamento utilizzati dai consulenti per supportare l’utente soggetto a vulnerabilità o situazione di svantaggio durante il proprio percorso di inclusione sociale e lavorativa. A cura di Flavia Tramontano, Orientatrice.
I tre paradigmi dell’orientamento
I paradigmi dell’orientamento per l’inclusione socio-lavorativa sono tre:
- attivazione della persona;
- personalizzazione del servizio;
- lavoro tra reti sociali, istituzionali e del mondo del lavoro.
Il primo paradigma dell'orientamento: attivazione della persona
La parola chiave per il raggiungimento della propria inclusione occupazionale e non solo (sociale ed economica) è ormai l’attivazione della persona: tutte le misure nazionali di contrasto alla povertà, succedutesi fino all’attuale Reddito di Cittadinanza, confermano, anche nelle intenzioni del legislatore, una minor attenzione sull’assistenzialismo - rispetto al passato - e una maggiore focalizzazione sulle risorse individuali per raggiungere un’inclusione lavorativa di qualità.
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L’aiuto alla persona con vulnerabilità socio/lavorativa si lega allo sviluppo di consapevolezza della stessa circa i vincoli e le risorse che la riguardano per raggiungere i propri obiettivi professionali.
Lo strumento principale è il colloquio di consulenza orientativa: assumono valore quali componenti fondamentali da mobilitare, le competenze di base e trasversali della persona.
Per potenziare le competenze strettamente professionali (spesso superate ed obsolescenti in utenti con vulnerabilità) si presenta all’orientatore lo strumento delle misure di politica attiva a valere sui fondi PON quali l’offerta formativa, i tirocini, per i giovani l’apprendistato duale, il servizio civile a supporto dell’inclusione socio lavorativa e per accompagnare la persona nella progettazione di un futuro di qualità.
Il secondo paradigma dell'orientamento: personalizzazione del servizio
L’altro paradigma nell’orientamento della persona vulnerabile o con svantaggio è la personalizzazione del servizio, la presa in carico.
I modelli tradizionali ancorati alla logica esclusivamente strutturata sul profiling e sul matching dell’utenza svantaggiata e vulnerabile si dimostrano poco efficaci, sia nella ricerca del lavoro sia nel vocational guidance.
Devono essere adeguatamente supportati da interventi personalizzati (tailored made), che permettano di approcciare i clienti a rischio di emarginazione, se non addirittura di esclusione sociale e lavorativa, con l’intenzione di dar loro voce e di favorire la manifestazione e il rispetto delle loro peculiarità.
I possibili interventi - di accompagnamento, consulenza, orientamento e formazione – devono tenere conto dei bisogni e delle caratteristiche peculiari di ciascuna persona, del contesto in cui è inserita, individuandone punti di forza, aree di vulnerabilità, risorse personali e ambientali da valorizzare.
Nell’aiutare le persone con un bisogno complesso, con maggiori livelli di svantaggio, l’obiettivo che ci si prefigge è più ambizioso e ampio, afferisce alla realizzazione del progetto di empowerment della persona, punta alla sua emancipazione socio/culturale, e non passa solo per l’inserimento nel mercato del lavoro -inserimento, che tra l’altro può rischiare di fallire sul breve/medio periodo, se non supportato da un processo di reale inclusione sociale della persona che deve essere sostenuta nei suoi diritti di cittadinanza e non solo come forza lavoro da inserire in un’azienda.
Anche il ricorso alla profilazione o bilancio di competenze della persona, legato esclusivamente al passato lavorativo e che guarda poco invece al futuro e alla volontà di cambiamento ed emancipazione della stessa (emancipazione e riscatto anche dal suo passato lavorativo poco soddisfacente), risulta un approccio poco efficace e semplicistico.
Anche in questo caso entra in ballo il ruolo strategico dell’orientatore come facilitatore nell’individuare e costruire insieme alla persona nuove traiettorie professionali e formative, che guardino al futuro e non al passato.
Il colloquio con l’orientatore è uno strumento per sviluppare la riflessività della persona, aiutandola e sostenendola nel rileggere la propria storia lavorativa in chiave positiva, trovando nuove traiettorie per il futuro.
L’orientatore non è solo colui che certifica nella persona la presenza di uno svantaggio lavorativo economico o sociale, non è solo un consigliere, ma attivando soprattutto interventi preventivi e precoci sui giovani e nelle scuole, può svolgere un ruolo efficace ed educativo, soprattutto sui ragazzi con meno risorse socio-economiche e maggiormente a rischio emarginazione.
È soprattutto con i giovani a rischio emarginazione che l’orientamento può e deve esercitare il compito ambizioso di proporre interventi educativi per insegnare ad “aspirare” ad un futuro migliore.
Nei paesi occidentali è decisamente in crescita il numero dei giovani in condizioni di vulnerabilità e disabilità che si affacciano al mondo del lavoro con scarsa percezione di efficacia, con la sensazione di non essere all’altezza dei compiti da fronteggiare, con bassa capacità di progettarsi e vedersi nel futuro e una tendenza a disimpegnarsi di fronte a scelte complesse e faticose da prendere, o quando si tratta di esplorare tutte le possibilità formative ed occupazionali esistenti o possibili.
Il terzo paradigma dell'orientamento: lavoro tra reti sociali, istituzionali e del mondo del lavoro
Gli approcci più efficaci suggeriscono di affrontare in modo congiunto e multidisciplinare le questioni della scelta professionale e dell’inclusione sociale e lavorativa.
Il modello migliore risulta quello di integrazione dei vari servizi territoriali (il servizio sanitario con il servizio sociale, con il centro per l’impiego da una parte e i centri di orientamento laddove siano presenti dei servizi comunali dedicati, i centri di formazione professionale e per l’istruzione degli adulti).
Un modello olistico di presa in carico, in cui l’orientatore fa da attivatore/stimolatore delle reti, attraverso la creazione di equipe multidisciplinari.
L’orientatore, infatti, non può essere un solista se vuole risultare efficace, ma è l’interlocutore privilegiato che prende in carico il cliente. Non può essere l’unico referente della persona, perché egli ha un ruolo di attivatore di reti che includono la sensibilizzazione, l'accrescimento della consapevolezza e della responsabilità sociale e il coinvolgimento di diversi interlocutori in ambito istituzionale, educativo, e del mondo del lavoro.
Maggiore è l’integrazione tra i servizi presenti sul territorio maggior sarà l’incremento delle possibilità di inclusione socio-lavorativa del cittadino per il raggiungimento del suo empowerment.
Lo scopo è di creare ponti, accrescere il potenziale di occupabilità e la partecipazione al mercato del lavoro delle persone con svantaggio medio alto, individuando anche modalità di espressione alternative delle proprie potenzialità (tirocini di inclusione, progetti di utilità sociale) che consentano la partecipazione e la realizzazione della persona nella società, prima ancora che nel mercato del lavoro, in un'ottica di rilevazione e valorizzazione delle potenzialità e delle competenze come processo lungo tutto l’arco della vita.