Martedì 16 Luglio 2024

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  • 9/3/2023

La funzione riabilitativa dell'orientamento professionale

Associare il termine “dipendenza” a quello di “orientamento” non è sempre così scontato ed immediato. Eppure, allo stesso tempo, non dovrebbe destare tanto scalpore. L’orientamento professionale può svolgere una funzione riabilitativa molto importante. A cura di Pasquale Loria, Orientatore Asnor.

La funzione riabilitativa dell’orientamento nelle Comunità Terapeutiche e nelle carceri

Chi opera nel campo dell’orientamento professionale sa bene che questo non può essere ridotto a strumento finalizzato all’inserimento o al reinserimento lavorativo, né tantomeno ad un processo da attivare solo in condizioni di necessità o di crisi.

Bisogna acquisire una maggiore consapevolezza rispetto al fatto che l’orientamento, inteso come processo globale di crescita personale, in una visione olistica, può svolgere anche una funzione riabilitativa.
Tale funzione può essere pienamente esplicitata in contesti di cura e riabilitazione come le Comunità Terapeutiche per tossicodipendenti o addirittura in contesti più strutturati come ad esempio le carceri.
In questi contesti, i processi di orientamento non vanno a sostituire gli strumenti terapeutici-riabilitativi ma piuttosto li integrano. 

Ecco alcune considerazioni di base:

  • Le Comunità Terapeutiche, a differenza di quanto accadeva 10/15 anni fa, sono sempre più “abitate” da persone che hanno un’età avanzata e che quindi vengono da diversi anni di tossicodipendenza, di emarginazione e di “inabilità” al lavoro.
  • Una grande percentuale dei percorsi di riabilitazione per tossicodipendenti fallisce proprio nella fase del reinserimento socio-lavorativo.
  • Altro dato interessante è che si stima che il 68% dei detenuti in carcere tornano a delinquere nel giro di pochi anni se non mesi. Tra le cause di questo fenomeno possiamo trovare sicuramente la mancanza di un adeguato supporto al reinserimento lavorativo. 

La lista delle considerazioni potrebbe ancora continuare a lungo ma già i punti presi in esame sono sufficienti per aprire delle riflessioni e porci alcune domande: 

  1. In che misura l’orientamento può fornire un supporto ad un impianto educativo/riabilitativo che tende a dividere gli ambiti di intervento invece di integrarli? 
  2. Quale può essere l’impatto che un percorso di consapevolezza e di scoperta delle proprie risorse, delle proprie potenzialità e dei propri desideri può avere su persone che nei fatti a tutto questo hanno rinunciato, scegliendo di vivere “una vita assistita” da una sostanza?
  3. Quanto un percorso di orientamento e di career guidance, in grado di tradurre in azioni concrete le consapevolezza personali, può dimostrarsi un fattore di protezione per un funzionale e armonico reinserimento lavorativo finalizzato non solo all’autonomia e al sostentamento ma che diventi espressione di realizzazione del proprio Sé?

Spesso, le persone tossicodipendenti hanno una consapevolezza limitata delle proprie potenzialità e dei propri bisogni e questo non fa altro che rafforzare un senso di disorientamento e di disadattamento. 

Allo stesso tempo, la maggior parte di loro proviene da lunghi periodi di disoccupazione e inoccupazione, presentando pertanto scarse e obsolete capacità e abilità lavorative.
Molto spesso, completato il loro percorso riabilitativo si trovano ad affrontare enormi difficoltà di reinserimento e spesso a confrontarsi con una società poco inclusiva e solidale. La mancanza di consapevolezza rispetto alle proprie capacità e attitudini unita a una cattiva percezione di sé (spesso rimandata anche dal contesto sociale), a una bassa autostima e alla mancanza di progettazione, possono porre tali individui di fronte ad ostacoli che diventano insormontabili e da lì a regredire verso comportamenti devianti il passo può essere veramente breve.

Oltre il trattamento sanitario delle dipendenze

L’Osservatorio Europeo sulle Droghe (European Monitoring Centre For Drugs an Drugs Addiction – EMCDDA) riconosce che il trattamento sanitario delle dipendenze da solo non è sufficiente a garantire l’inclusione sociale, e indica tra i punti fondamentali per una funzionale realizzazione “considerare la reintegrazione sociale e lavorativa come obiettivo finale del programma di trattamento”.

Per far fronte a tali criticità sono nate nel tempo risposte come le cooperative sociali per favorire l’inserimento lavorativo di persone “svantaggiate”  e vari progetti di reinserimento che possono essere più o meno validi ma, purtroppo, nella quasi totalità dei casi, va registrato che si ritorna ad un intervento limitato a garantire l’occupazione, continuando a considerare il lavoro solo come mezzo di sostentamento e non come luogo di sperimentazione, consolidamento ed espressione del proprio essere, delle proprie aspettative, dei propri desideri e delle proprie capacità. 

Il lavoro dovrebbe essere considerato come il luogo dove si realizza il senso profondo della propria vita, in armonia con tutti gli altri aspetti personali, come ad esempio avviene nella visione olistica dell’IKIGAI

Leggi anche IKIGAI, un metodo giapponese per l'orientamento e il benessere della persona

La cultura di “Ogni persona è una risorsa”

È compito di chiunque operi nell’ambito dell’orientamento, diffondere una cultura che veda la persona al centro, dove l’orientamento assume l’arduo compito di fare da cerniera tra il “mondo interiore” dell’individuo fatto di desideri, aspettative e bisogni e il “mondo esterno” fatto di incontri e confronti, di possibilità e occasioni di tradurre in azioni tangibili ciò che all’occhio appare intangibile. 

Se questo discorso vale per tutti gli ambiti e i contesti dove è necessaria attività di orientamento, ancora di più vale con quegli utenti che più di altri hanno bisogno di ritrovare se stessi, che necessitano di un percorso che li renda protagonisti di un cambiamento e che hanno bisogno di identificarsi in un nuovo Sè, nella loro versione migliore, anche attraverso il lavoro.

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Dott. Pasquale Loria

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