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- 29/5/2024
L'autismo oggi, la voce delle famiglie e il ruolo di una scuola inclusiva
Chiusi in casa con i propri genitori o di fronte a uno schermo a scuola, ma senza i propri compagni, così i bambini affetti da disturbo autistico vivono questo periodo di pandemia. Cos’è l’autismo e come viene vissuto e affrontato dalle famiglie e dalla scuola. Approfondimento a cura della Dott.ssa Maria Forina, Pedagogista, Ricercatrice e Docente.
Autismo, la voce delle famiglie
Quando nasce un figlio, una nuova vita ha inizio. È un fatto apparentemente naturale, scontato, ma non per tutti! Una nuova vita conduce inesorabilmente a vivere un viaggio, a intraprendere un viaggio, dall’itinerario incerto.
È l’immaginazione che guida il percorso, ma la realtà è un’altra e prenderne coscienza fa male. La strada da percorrere a prescindere se sia su binari o su strade sferrate o asfaltate, richiede una evoluzione che racchiude e riguarda più persone. Tutti nella stessa carrozza, ognuno con le proprie aspettative, con le proprie proiezioni che si prospettano buone fino a quando una valutazione cambia l’idea che si ha di uno dei passeggeri. Ogni coppia, fattasi carico di ogni responsabilità che l’essere genitore comporta, agisce uscendo dalla propria zona di comfort e ingloba a sé una nuova creatura che dipende in tutto da loro. Avere cura di un figlio e lasciare che questi cresca, richiede un impegno, talvolta anche più gravoso se quel figlio non risponde più ai canoni di perfezione cui ambiavano.
La nascita di un figlio con problemi, con un handicap produce disagio e sensi di colpa. Quella gratificazione e quelle aspettative riposte, sono compromesse se alla base della coppia non vi è una solida consapevolezza: essere genitori, richiede un amore incondizionato, a prescindere da tutto.
Il bambino è bellissimo, in lui si cercano somiglianze, ma…non è sano! Entrare nell’ottica che un figlio sia portatore di disabilità uccide inizialmente ogni aspettativa riposta. È un terremoto che scuote la terra sotto i piedi, che destabilizza, che mette ansia, che fa paura. Il domani appare incerto. Seguono i controlli, le visite specialistiche. La diagnosi arriva, si sovrappone a quella degli altri: autismo, disturbo dello spettro autistico.
C’è chi reagisce isolandosi, chi tace difronte ad una parola che fa paura, ma dietro quel termine c’è un mondo.
Uscire dal torpore del dolore richiede un processo di accettazione che invoglia a informarsi, a capire come e cosa fare. La creatura messa al mondo non è perfetta, gli occhi indagatori degli altri graveranno su ciò che non ha, piuttosto che su ciò che potenzialmente potrebbe essere ed ha.
È frequente che loro stessi sperimentino l’abbandono a seguito della diagnosi del figlio, o pseudo pietismi che compatiscono la coppia ma che nel concreto non viene affiancata tranne che per soddisfare la curiosità sulla situazione che stanno vivendo e dar fiato alla bocca!
Le famiglie vengono lasciate sole, è un caso che talvolta scoprano una rete di genitori che in associazioni che hanno in comune il problema decidono di affiancarli.
Metabolizzare il lutto richiede tempo e sostegno, oltre che un intervento che, a seguito della diagnosi, li inserisca in un circuito riabilitativo e insieme umano.
Quella che si solleva è una riflessione e insieme una denuncia, che si traduce in una incapacità delle istituzioni di affiancare e sostenere bambini e famiglie, ben oltre le mura di casa.
Autismo, il ruolo della scuola
La scuola appare come l’unica ad arginare le tensioni, ad agire sul piano educativo e didattico per stimolare l’alunno, assegnarlo ad una classe perché possa essere inserito in una cerchia di relazioni e interazioni.
Non si tratta di solidarietà, ma di far scendere in capo professionisti e attribuire a questi un incarico che garantisca anche una qualità della vita spesso mortificata da chi a priori decide che tali alunni non possano averla.
Ogni genitore si chiede se dopo il noi, il proprio figlio possa condurre una vita normale, se possa essere autosufficiente se possa camminare da solo in un mondo pieno di pericoli e mortificazioni e che non tarderanno ad arrivare dato che è il più esposto a subirle.
Gli anni incalzano, inesorabili passano. I genitori invecchiano, e tornano a porsi la stessa domanda: dopo il noi, cosa accadrà? La nostra società sempre più competitiva sembra scorporata da ogni azione benevola, scarta chiunque non produca, chiunque non stia al passo. Nasce lo sconforto, la paura, prima avvertita come una percezione, poi sempre più radicata si annida nel petto, e non lascia spiragli e speranze. Chi gestirà le sue crisi problema, chi lo affiancherà nelle incombenze che la vita stessa porta in dote? Un fratello o una sorella? Ma, là dove queste figure non ci fossero…chi?
I bambini usciti dal contesto familiare iniziano la scuola, imparano a scandire i loro giorni. Intraprendono relazioni, e intorno si muovono professionisti: docenti, logopedisti, fisioterapisti, psichiatri (…), tutti chiamati a fare la loro parte.
L’autismo comprende un insieme di disturbi che riguardano la componente neurologica e che hanno implicazioni sullo sviluppo.
I segni appaiono in modo precoce. Sono i genitori a darne l’allarme, a cogliere differenze tra il proprio figlio e quello della vicina. Sembrano avere una vitalità diversa: una rumorosa, l’altra silenziosa, fatta di isolamento, di giochi ripetitivi e senza fine. Sono presenti deficit nelle interazioni sociali, nella comunicazione, nei comportamenti. Talvolta è evidente un ritardo mentale, la comparsa di crisi epilettiche, ansia, o depressione. Hanno una emotività alterata che oscilla dalla apatia alla frenesia: i comportamenti appaiono compulsivi, temono i cambiamenti, hanno ritualità e rigidità che non sono disposti a modificare e una alimentazione atipica.
Guardare al benessere emotivo e garantire la socializzazione è tra le priorità di una scuola inclusiva, oggi compromessa da una crisi pandemica che li priva della compagnia dei compagni.
La paura del contagio e delle varie disposizioni governative, impediscono ai bambini di frequentare la scuola, fatta salva quella integrata o a distanza, per evitare che ogni progresso vada perduto.
È difficile garantire l’attenzione per i bambini “normodotati”, figuriamoci per gli alunni autistici.
Penalizzati a tornare a scuola, ma da soli o con una cerchia limitata di amici, compagni di classe. Questa emergenza ha mietuto molte più vittime di quanto si creda e non ci si riferisce solo al bambino, ma anche alle famiglie, costrette a lasciare il lavoro e in alcuni casi a scegliere chi a casa deve usare i dispositivi informatici e chi no.
L’esempio di Greta, una bambina autistica a scuola durante il Covid19
Nel frattempo si affaccia una nuova ipotesi… la pandemia sta generando “autistici digitali”. Lo sa bene Greta, la bambina che seguo…che bacia uno schermo freddo e che saluta i suoi compagni intrappolati in un reticolo che ne incornicia i volti.
Per la prima volta ha reagito alla loro assenza, alla loro rumorosa presenza, che non comprende. Il sovraccarico emotivo è alto, e l’apprendimento per quanti sforzi si faccia è in parte compromesso. Montessori era solita sostenere che la scuola deve potenziare i sensi dei bambini, deve sviluppare ogni azione educativa mediante una didattica del fare e dell’agire. Questa consente di creare schemi cognitivi e sinaptici utili a rinforzare le conoscenze pregresse e avviare l’alunno alla maturazione delle competenze, ma senza i compagni, senza quella energia comunicante e interagente è possibile? È innegabile che il Covid19, e la pandemia in atto abbiano creato disagi e abbia gravato sulle famiglie in modo evidente.
Cosa ci ha insegnato il Covid19
Conoscere il loro punto di vista, dar loro voce non è un atto di cortesia o un lascito concesso per strumentalizzare la situazione, ma per ritrovare quella vicinanza perduta che dovrebbe accomunarci oggi più che mai. Mi riferisco a quei valori dati per scontati, ma che oggi affiorano a ricordarci che ciò che abbiamo denigrato del nostro passato e del nostro essere ieri, può salvarci oggi.
La pandemia ci ha insegnato, facendoci abbassare la testa e piegare le ginocchia, che siamo tutti uguali, e che non esistono confini tra la propria e altrui salute; ci ricorda che la vita è breve e che tutti hanno il diritto di viverla nel modo più sano possibile e che se già compromessa ognuno deve farsi carico della responsabilità dell’altro; ci ha sbattuto in faccia le ipocrisie e le pochezze materialistiche alle quali noi abbiamo attribuito valore, ma che effimere come sono non ci salvano la vita; ci ha mostrato quanto sono importanti le nostre radici, i nostri nuclei familiari e le relazioni all’interno di esse; ci ha insegnato che il nostro ego è niente se non contestualizzato nel noi; ci ha mostrato che cooperando e agendo per il bene comune, possiamo uscirne, semplicemente abbandonando i nostri egoismi; ci ha mostrato che le difficoltà sono sempre dietro l’angolo e che le stesse non appartengono agli “sfigati”; ci ha insegnato che la resilienza è un valore, al pari della solidarietà; ci ha ricordato la precarietà dei giorni e a fare dei nostri errori una virtù; ci ha ricordato che siamo tutti malati; ci ha ricordato che la speranza esiste, e che ad ogni caduta segue un rimettersi in piedi; ci ha insegnato che il Covid è una opportunità, una lezione senza precedenti.
Chiudendo e tornando al quesito…cosa sarà dopo il noi delle famiglie mi viene spontaneo ricordare a tutti, che è nel noi che dovremmo puntare per risalire insieme!