Lunedì 20 Gennaio 2025

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  • 16/1/2025

LET'S TALK | Puntata 5: Intervista a Giulia Detomati

Oggi parliamo di orientamento all'imprenditività, un termine forse non estremamente conosciuto ma che fa riferimento al sapere agire con spirito di iniziativa. Si traduce sostanzialmente in assumere un atteggiamento di responsabilità personale, lavorando con spirito imprenditoriale anche senza avere necessariamente a che fare con l'apertura di una propria azienda.

Puntata 5 – Ospite: Giulia Detomati, fondatrice di InventoLab, premiata a B Corp in Italia, protagonista dello sviluppo di progetti con aziende multinazionali ma anche di progetti education. Conduce l’intervista Vito Verrastro, Direttore Responsabile del magazine l’Orientamento.

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VV - Essere imprenditivi vuol dire avere la capacità di mettersi in gioco, di essere intraprendenti, di porsi domande, anziché attendere risposte, di avere fiducia nelle proprie idee e impegnarsi nel tradurle in progetti a beneficio di sé e degli altri.

Per parlare di un tema così importante, abbiamo il piacere di ospitare Giulia Detomati. Tra le sue attività, fa parte degli Ashoka Fellows, una rete di imprenditori sociali che ambiscono a un cambiamento sistemico e di paradigma, ed è co-founder di Be Women Italy, rete di donne imprenditrici che si impegnano concretamente per la promozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'ONU, in particolare gender equality e climate change. Professionalmente è un ingegnere ambientale, ha arricchito la sua formazione negli Stati Uniti grazie al programma Mind the Bridge a San Francisco e SocialEntrepreneurship della Stanford University. È stata infine mentore del The Startup School e del programma launch del MIT di Boston: un curriculum di tutto rispetto, anche considerata la giovanissima età. Quindi complimenti intanto per tutto quello che hai fatto.

Con la metodologia del giornalismo costruttivo che utilizziamo sempre per queste interviste, partiamo dai problemi, poi arriviamo alle soluzioni e alle opportunità sul tema della cultura dell'imprenditività.

I dati italiani ci raccontano che l'imprenditorialità giovanile è un po' in calo da diversi anni. Eppure, sappiamo che il posto fisso tende ormai a scomparire, il lavoro dipendente si trasforma e va incontro a mutazioni e anche a crisi da parte delle aziende, e molte opportunità per diventare freelance o imprenditore non vengono colte nonostante gli strumenti ci siano. Probabilmente è una questione di mindset, di mentalità adeguata? Ci sono barriere particolari che impediscono ai giovani italiani di assumere la mentalità imprenditiva o di diventare imprenditori? E che differenze hai osservato magari tra il contesto italiano e quello statunitense?

GD - Il tema centrale è proprio quello del mindset, che dovrebbe essere costruito fin dalla più tenera età. Appunto, non parliamo di essere imprenditori o imprenditrici ma come hai detto tu è proprio il tema dell'imprenditività quello da sviluppare. Avendo visto più di 40 mila giovani ormai nel giro di 10 anni, ma con incrementi molto alti negli ultimi anni, il tema è proprio quello di far fare esperienza sul campo, passare dai concetti di sola “problematizzazione” a quelli di soluzione; cercare di avere un atteggiamento costruttivo, cercare anche di fare un lavoro su se stessi e se stesse.

Un tema che vediamo manca tantissimo è proprio quello del “partire da sé”, dello scoprire i propri talenti, le proprie inclinazioni, le proprie passioni, che sono poi la leva dell'imprenditività: perché poi sono le caratteristiche come la determinazione che ti danno la forza per superare tutti gli ostacoli. Non solo per diventare imprenditori e imprenditrici, ma per arricchire il proprio curriculum di tutte quelle competenze più soft che però sono sempre più utili, soprattutto al giorno d'oggi. C’è il tema dell'intelligenza artificiale, sicuramente sulle competenze tecniche ci sono delle tecnologie che ci possono aiutare, ma le competenze legate allo sviluppo del sé sono invece tutte da costruire.

Masterclass - Liberare il potenziale umano

VV - Hai fatto bene a dire che oggi le competenze personali sono fortemente intrecciate con quelle imprenditoriali; quindi non si può ignorare o prescindere da una ricerca compiuta del sè, di una consapevolezza profonda. Quello che riscontro io, e credo anche tu abbia riscontrato nella tua vasta esperienza, c'è anche una questione culturale legata al tema degli errori. Si tende ad evitare di andare incontro agli errori; invece fallire e riprovare - lo sappiamo - è parte integrante del percorso imprenditivo, imprenditoriale, nonché sinonimo di una mentalità aperta, dinamica. Quanto conta oggi questo tema? È così importante da far arretrare i giovani dall'intraprendere? E che differenze ci sono rispetto agli Stati Uniti, dove ci insegnano invece come andare incontro agli errori, fallire presto e imparare sempre di più?

Corso Scuola di fallimento

GD - Esatto! Volevo proprio partire dall'esperienza in America, sicuramente, soprattutto nel mondo startup, quello che ho incontrato una decina di anni fa quando appunto la Silicon Valley stava esplodendo con tutte le idee, le innovazioni che diventavano già grosse aziende; nella cultura americana il fallimento viene visto quasi come una palestra, quindi ti dicono “fallisci in fretta, se devi farlo fallisci in fretta”. Da noi in Italia c'è ancora molto lavoro da fare su questo stigma; è un po' anche come tutto il tema relativo al benessere mentale, ci sono dei tabù nella nostra società e degli stigma; e questa, a mio parere, è una grossissima barriera all'ingresso perché comunque fare l'imprenditore vuol dire anche necessariamente fallire; noi utilizziamo tantissimo la metodologia Leaned è proprio mettendosi a sperimentare a partire dal fallimento che capisci che il tuo prototipo lo devi fare in un altro modo, che devi lavorare in un altro modo; quel fallimento è in realtà un enorme insegnamento, più che errore.

E questo è proprio un tema da portare a tutti i livelli: di orientamento, di percorsi, di vivere non più l'errore come stigma; di non chiamarlo nemmeno più “errore” ma cercare proprio di ragionare sull'apprendimento e sull'insegnamento che ci può dare, più prezioso di tante vittorie – quelle che magari insegnano poco - mentre invece anche le cose negative ci arricchiscono, e per fortuna ci arricchiscono tanto.

VV - Certo, errore è un po' come errare, non nel senso di vagare, no? All'inizio con un po' di nebbia intorno, ma poi gli errori ci aiutano proprio a diradare questa nebbia, a diventare sempre più bravi, uscendo appunto dalla zona di comfort per addentrarsi in percorsi che contemplano il rischio, perché se parliamo di imprenditività e di imprenditorialità, ovviamente il rischio fa parte del gioco. Altro tema interessante, te lo rivolgo come imprenditrice Benefit, l'educazione all'imprenditività o all'imprenditorialità sostenibile e sociale, quanto potrebbe aiutare i ragazzi a sviluppare un mindset più proattivo?

GD – La domanda arriva proprio al cuore di quello che è il progetto InventoLab, la nostra missione, la nostra ispirazione: perché a mio parere non basta l'imprenditività tout court, perché come abbiamo visto l'imprenditività, l'imprenditorialità e le imprese di oggi, oltre a tante cose positive producono anche le cosiddette esternalità negative e danni alla società. Spesso assistiamo nel nostro sistema a imprese che creano danni, che vengono ripartiti come costi sulla collettività, mentre i profitti sono poi dell'impresa. Quello quindi che ci teniamo moltissimo a portare è proprio un modello di imprenditorialità legata all'impatto positivo.

Si riallaccia alla nostra esperienza sul tema benefit. La società benefit non crea solo profitto ma crea valore condiviso, e nel proprio statuto si prefigge alcune finalità di beneficio comune; cosa vuol dire? Decide che alcuni temi sociali sono particolarmente rilevanti per la propria attività di impresa e questo è pari al tema del profitto, quindi ha la stessa dignità.

Quello che cerchiamo di fare nelle scuole con i giovani è portare questo modello di imprenditività a impatto positivo, che vuol dire anche se uno appunto non diventa imprenditore o imprenditrice fa un altro tipo di professione, però ha in mente il bene comune nel momento in cui fa quella professione. Quindi c'è anche tutto un tema legato al senso, che si lega molto al discorso dell'orientamento: io scopro il mio talento, cerco di capire in che cosa posso essere utile e fare bene per me, sviluppando quel talento perché mi dà gioia e cerco di trovare una forma che effettivamente attivi questo cambiamento nel mondo.

Citavi gli Ashoka Fellows: sicuramente il nostro tipo di approccio, che è anche quello che ho visto a Stanford, è proprio la social entrepreneurship, quindi portare l'imprenditività a vantaggio di tutti, che non è solo il mondo no profit; i dati rivelano che spesso le società benefit hanno anche rendimenti più interessanti di quelle “profit”.

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VV - E c'è anche tanta innovazione nell'imprenditorialità sociale, ed è un qualcosa che ha appunto un impatto positivo che fa bene a sé e agli altri ed è molto importante. Parlavi di scuole: bisognerebbe partire proprio da lì. Da che grado?

GD - Da quando bisognerebbe partire per stimolare e innestare questi semi nuovi del mindset dei bambini, dei ragazzini? Prima possibile. Noi abbiamo programmi che vanno dai tre anni fino alle business school. Diciamo che sui piccolissimi lavoriamo tanto sul tema del cambiamento rispetto a fare delle azioni comuni, ad esempio ambientali. Sui più grandi invece, dalle medie alle superiori, abbiamo dei veri e propri programmi che hanno la partnership del Ministero dell'Istruzione, sono diffusi massivamente, hanno delle metodologie molto codificate che accompagnano i ragazzi dalla individuazione dei propri talenti alla creazione di startup che abbiano un impatto positivo, ambientale e sociale.

Lo facciamo da tanti anni, ormai sono veramente quasi una decina di anni che affrontiamo questa tipologia di progetti, e quello che vediamo è proprio che al tempo erano quasi delle avanguardie - perché dei temi ambientali si parlava poco, così come della sostenibilità – mentre adesso sono il futuro e anche il presente, perché vediamo anche un interesse pazzesco delle imprese rispetto a queste tematiche.

Quindi è cambiato lo scenario. Quello che fa Inventolab è mettere insieme tanti stakeholder diversi: imprese Benefit o B Corp, le imprese che vogliono lavorare con le giovani generazioni, i professionisti che si occupano di orientamento, i docenti delle scuole (figure chiave), le fondazioni, gli enti filantropici, le associazioni, per creare una rete intorno alla scuola che faccia uscire gli studenti e le studentesse dalle mura della scuola per inventare e creare delle imprese a impatto positivo. Negli anni abbiamo visto tantissime idee che si sono trasformate in realtà, visto che il nostro approccio prevede fare le cose effettivamente, quindi di non rimanere solo alla fase di ideazione ma arrivare fino anche alla vendita, al mercato.

Qualche esempio? Nell'ultima Changemaker Competition, che è l'evento che facciamo a giugno ogni anno, la startup che ha vinto è di una scuola di Merate e loro hanno prodotto dei piumini completamente “animal free” utilizzando come riempimento le mascherine sfilacciate che erano ormai scadute: un'idea che può essere emulata anche dalle aziende che hanno appunto magari queste mascherine scadute e possono effettivamente trovare una nuova collocazione. Un’altra startup è diventata una vera e propria azienda; i ragazzi dopo che hanno compiuto 18 anni l'hanno proprio formalizzata dal notaio, hanno poi tutti fatto l'università e adesso hanno preso i finanziamenti per fare gli impianti di ready drop, cioè gocce di shampoo completamente biodegradabili che vanno a sostituire tutti i flaconcini monouso; abbiamo visto le carte di credito fatte con legno, anni fa, le penne immortali, che durano all'infinito, e così via. Abbiamo una casistica molto ampia.

VV - Bellissime idee. Hai fatto bene prima a parlare di un ecosistema, no? Perché come tutte le sfide così grandi hanno bisogno di un grande ecosistema intorno. Soffermiamoci per un attimo su uno degli ingranaggi, uno dei tasselli di questo ecosistema che sono i professionisti dell'orientamento, ai quali noi ci rivolgiamo. Come imprenditrice, come mentore, che cosa consiglieresti ad un professionista che voglia intraprendere appunto un percorso di orientamento all'imprenditività per dare proprio un aiuto concreto, un supporto concreto come quello che ci hai raccontato tu?

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GD - Noi lavoriamo a tanti livelli, arriviamo appunto fino alle business school e offriamo anche sulla nostra piattaforma dei programmi come InventoSchool, nati proprio per stimolare l'imprenditività. Se un professionista vuole affacciarsi a questo mondo ci sono tantissimi corsi che si possono fare: io ai tempi andai a Stanford a formarmi su un percorso di social entrepreneurship; adesso dopo il Covid con l'online è possibile trovare una casistica molto più ampia, come eventi anche molto brevi ma molto sul campo. Il mio consiglio è proprio quello di cercare dei corsi e tutto, anche se l'imprenditività poi si impara sul campo sperimentandosi e quindi partecipare a format legati ai weekend e a tutto il network legato alle startup: possono essere molto utili perché in poco tempo c'è una full immersion, molto molto approfondita, che però permette di sperimentare l'imprenditività.

Se uno si trova all'interno di una competition di un weekend, uno startup weekend o quant'altro, a inventarsi una startup in quel momento anche con altre persone sconosciute, a cimentarsi, a intervistare, a provare, assume in pochissimo tempo tante competenze che magari arriverebbero con un corso molto leggero, in maniera molto lenta. Il mio consiglio è trovare occasioni per sperimentare sul campo e non farsi condizionare dagli altri che dicono “no, non ce la puoi fare”.

VV – Grazie, Giulia per questa panoramica, per i consigli da cui possiamo trarre un assunto generale: c'è sempre più bisogno di questo mindset, c'è sempre più bisogno di avere una mentalità che esca un po' dai confini del bravo dipendente, perché poi abbiamo visto troppo spesso purtroppo che le aziende vanno incontro a crisi e fallimenti e bisogna rimettersi in gioco e lo si fa attraverso le competenze di cui abbiamo parlato.

Grazie da Asnor e alla prossima.

A margine dell’intervista, Giulia si è detta molto disponibile a entrare in contatto con gli orientatori Asnor, alcuni dei quali potrebbero irrobustire la rete dei formatori di InventoLab nei vari programmi dedicati. Info su: https://inventolab.com/

In questo articolo si parla di

Vito Verrastro

Vito Verrastro

Orientatore Asnor, Direttore responsabile del Magazine l'Orientamento, Giornalista, Founder di Lavoradio.

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