Mercoledì 4 Dicembre 2024

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  • 17/5/2024

L'importanza di riconoscersi vulnerabili: come rendere autentica la relazione di aiuto

L’Orientatore ha per definizione il ruolo di aiutare e indirizzare utenti “disorientati”, spesso disoccupati e in ogni caso in una fase di “transizione”. Considerato ciò, può il professionista dell’Orientamento permettersi di essere vulnerabile? A cura di Manuela Rapacchia, Orientatrice Asnor.

Vulnerabile deriva dal latino vulnerabĭle, derivato a sua volta dal verbo vulnerāre, che significa “colpire, ferire”. Una persona vulnerabile è una persona che può essere attaccata, scossa sia fisicamente che intellettualmente.

Essere vulnerabili implica a sua volta una condizione di fragilità e un certo grado di umiltà: dal latino humĭlis, a sua volta derivato da humus, ossia “terra”; propriamente, umile è ciò che è “poco elevato da terra”. L’umiltà è la virtù che ci consente di abbassare le difese e aprirci davvero all’incontro con l’Altro.

L’umile ricerca di informazioni

Nel libro “L’arte di far domande. Quando ascoltare è meglio che parlare”, Edgar H. Schein e Peter A. Schein sostengono l’importanza dell’“umile ricerca di informazioni” come atteggiamento per costruire relazioni o anche semplicemente conversazioni positive.

Gli autori la definiscono come “[…] la sottile arte di incoraggiare qualcuno a dire di più, di fare domande per le quali non sappiamo già la risposta […]”. Sembra scontato ma non lo è affatto.

Questa arte, in sostanza, si basa sull’affinamento della nostra capacità di ascoltare attivamente e in profondità il nostro interlocutore e di porgli le domande “giuste”. Le domande giuste sono domande aperte che non nascondono affermazioni e che non direzionano la risposta dell’Altro.

Questo tipo di indagine presuppone a sua volta un atteggiamento di apertura, curiosità e genuino interesse nei confronti dell’interlocutore, che così facendo è invogliato ad ampliare la conversazione al di là della domanda posta.

L’importanza di fare il punto

Per fare le domande giuste, bisogna essere acuti osservatori. Un osservatore che si rispetti, riesce a cogliere all’interno di una conversazione sottigliezze e sfumature che sfuggirebbero a un osservatore disattento.

Osservare, ancora, significa fermarsi a“fare il punto” e a valutare la relazione che si sta sviluppando con l’altra persona. Il colloquio ha preso la giusta direzione? O è necessario rivedere la piega che ha preso e riformulare reciproche aspettative e finalità dell’incontro? All’interno di un percorso di orientamento non sempre le rigide tempistiche imposte lasciano il tempo di rallentare e valutare, eppure questo è un passaggio necessario per ampliare la nostra prospettiva individuando eventuali bias e pregiudizi passibili di “minare” la relazione di aiuto.

Approfondimento | Guida al Counseling

Atteggiamenti contro culturali

Viviamo nella “cultura del fare e del dire”, come la chiamano gli autori del libro. Siamo abituati e costretti a correre e “fare” senza mai rallentare per raggiungere gli obiettivi prefissati; siamo abituati a “dire” e imporre punti di vista piuttosto che a chiedere e fare domande, perché questo nella nostra percezione culturale ci renderebbe meno produttivi e ci mostrerebbe vulnerabili nella competizione con gli altri.

Per questi motivi, adottare un atteggiamento umile e fermarsi ad osservare rappresentano atteggiamenti rivoluzionari e letteralmente contro culturali.

Apprendere e adottare questi atteggiamenti non è compito semplice per nessuno, tanto meno per un Orientatore. Per tornare alla domanda iniziale, approcciarsi con umiltà e vulnerabiltà all’interno di un percorso di orientamento è un atto “doveroso” per rendere davvero autentica la relazione di aiuto.

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Manuela Rapacchia

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