Lunedì 7 Ottobre 2024

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  • 30/7/2024

Cambio di rotta, una chiave per la felicità?

Partendo da una condivisione di idee e di esperienze che ha permesso di conoscerci meglio e avvicinarci professionalmente, abbiamo scritto a quattro mani questo articolo per il Magazine di ASNOR, con l’obiettivo di condividere  la nostra riflessione sul tema del cambio di rotta e di come questo argomento possa essere rilevante in un percorso di orientamento o dopo la conclusione dello stesso. A cura di Rovena Bronzi e Maria Grazia Sasso, Orientatrici Asnor.

Parte del lavoro di un Orientatore consiste nel facilitare le persone nell’affrontare o realizzare un cambiamento e intraprendere azioni efficaci ed efficienti per la ricerca di nuove opportunità formative o professionali.

Proprio attraverso un percorso congiunto e grazie al supporto dell’Orientatore, l’orientato può prendere consapevolezza di sé e di cosa desidera per il proprio futuro, può arrivare a vedere con chiarezza il suo “perché”, le sue motivazioni intrinseche ed estrinseche, ciò che realmente sa fare e che cosa potrebbe ancora fare grazie a percorsi di formazione o tirocini, oltre che a familiarizzare con le dinamiche del mercato del lavoro.

Nel percorso di orientamento, inoltre, la persona riesce a concretizzare in Job title e professioni obiettivo le risposte che trova dentro di sé e successivamente a rendere più efficace l'utilizzo di strumenti, tecniche, strategie di ricerca di un lavoro.

Sappiamo, però, che il processo che porta dallo spaesamento iniziale ad una rinnovata chiarezza potrebbe non essere sempre così semplice e lineare e sappiamo anche che un percorso di orientamento non dovrebbe essere fine a sé stesso, bensì consentire alla persona di sviluppare delle abilità che possano sostenerla nella fase successiva; in alcuni casi, infatti, a fare davvero la differenza è ciò che accade nel dopo percorso (di orientamento), quando la persona torna ad agire in totale autonomia.

Per questo motivo è davvero importante per un Orientatore portare l’utente a:

  • prendere consapevolezza che un percorso di orientamento non è un punto di arrivo statico e definitivo, dal quale non sarà più possibile discostarsi, bensì un punto di partenza, un’importante bussola per cominciare a muoversi e costruire;
  • arrivare a comprendere che a fare la differenza e ad avvicinare ancora di più al proprio Ikigai saranno l’esperienza sul campo, lo sperimentare/sperimentarsi, il rimettersi in gioco anche in fasi successive, l’informarsi, il procedere per prove ed errori, anche aprendo e chiudendo esperienze laddove si renderà conto che qualcosa non ha funzionato o non sta funzionando come vorrebbe.

Perché se le parole chiave del mercato del lavoro sono flessibilità e adattamento, lo devono essere anche in un percorso di post-orientamento.

Del resto non potrebbe essere diversamente. Per mille motivi. Anche solo semplicemente per il fatto che con il tempo le persone cambiano, così come cambiano i contesti e il mercato; o ancora perché gli obiettivi tanto desiderati o riscoperti grazie a un percorso di orientamento potrebbero non essere subito realizzabili, bensì potrebbero richiedere di applicare una “teoria dello scalino” per il loro graduale raggiungimento.

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Maria Grazia Sasso: la mia storia di Orientatrice

Sono nata e cresciuta in una famiglia in cui l’aiuto è sempre stato una priorità, un valore fondamentale sia nel privato che nel campo professionale. Qualcuno avrebbe potuto dare per scontato che avrei scelto di lavorare come insegnante, seguendo le orme di mia madre, mentre altri avrebbero scommesso che sarei diventata medico come mio padre.

Per me, però, la fine del liceo ha innescato una serie di riflessioni: aiutare gli altri è nel mio DNA, ma chi vorrei aiutare? In che modo? In che ambito?

Sviluppare la mia carriera da orientatrice non è stato semplice né immediato, ho dovuto prima percorrere una strada fatta di esperienze in vari ambiti del sociale, di prove ed errori, di idee messe a terra e progetti da realizzare. Nel corso degli anni il mio ambito di interesse si è definito con più chiarezza, ma ci è voluto tempo: chi sono oggi professionalmente è il frutto di continui riorientamenti indirizzati a seguire la mia bussola interiore.

Ciò che per me è importante oggi è supportare le persone nel prendere scelte consapevoli in ambito professionale; scelte che non devono spaventare, perché sono il riflesso della persona stessa e che proprio per questo possono incontrare e soddisfare i suoi bisogni compatibilmente con le esigenze del mercato.

Perché ve la racconto

Credo che il modo migliore per compiere scelte soddisfacenti sia partire da sé stessi accettando e anche valorizzando i propri cambiamenti nel tempo. Spesso in orientamento accogliamo persone che non riescono più a riconoscersi in ciò che fanno, ma temono di non poter ambire ad altro o non sanno da dove iniziare.

Il supporto di un orientatore può essere decisivo affinché la persona arrivi a individuare un primo o un nuovo obiettivo personale, definito e su misura, che le permetta di riattivare le proprie energie e la propria proattività.

L’obiettivo finale del nostro lavoro di orientatori, però, è far sì che la persona possa appropriarsi di ciò che apprende nel percorso per poter rimettere il proprio progetto in discussione ogni volta che ne sentirà il bisogno.

A cura di Maria Grazia Sasso. Psicologa e Orientatrice iscritta al Registro Orientatori Asnor(L. 4/2013); da alcuni anni opera nel contesto di bandi di Politiche Attive del Lavoro offrendo il suo supporto a persone che hanno necessità di cercare un nuovo impiego.

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Rovena Bronzi: la mia storia di Orientatrice

Chi mi segue su LinkedIn sa che provengo da un cambio di settore, fortemente voluto e desiderato a seguito della ri-scoperta “in età matura” del mio ikigai: fare l'orientatrice nelle politiche attive per supportare e accompagnare utenti in condizioni di fragilità e svantaggio nella ricerca di un lavoro.

Un desiderio, però che per essere realizzato ha necessitato di anni e sacrifici poiché, come dice la famosa cit. sul web "le aziende assumono per hard skills e licenziano per soft skills", potevo vantare di motivazione, cross skills, soft skills ma ahimè non ancora di skills così tecnico-specialistiche tali da poter essere presa in considerazione dalle politiche attive.

I primi anni dopo un percorso di orientamento, a cui io per prima avevo preso parte, sono stati quindi per me da un lato di formazione, dall'altra di continua sperimentazione per accumulare esperienza sul campo e poter crescere in termini di hard skills. Ma anche per poter scoprire altri interessi, quali quella della formazione di gruppo, e conoscermi meglio.

Cosi dopo anni di formazione certificata, di volontariato professionale che via via si è trasformato, parallelamente a quella che era la mia professione principale, in prime collaborazioni in ritenuta d'acconto come consulente di orientamento all'interno di progetti solidali finanziati, con l’apertura della P.iva ho iniziato a dedicarmi a consulenze private e ad altre collaborazioni che in quel momento sentivo che avrebbero potuto valorizzare il mio Cv e in generale la mia storia professionale.

Ed è stato grazie a questo continuo mettermi in gioco, sperimentarmi anche in progetti che non sentivo miei o che mi stavano allontanando (ma solo apparentemente) da quello che era la mia vera missione e vocazione, procedere per prove ed errori che ho potuto capire che era arrivato il momento di tornare al mio Ikigai, attraverso un ennesimo cambio di rotta. E cosi ho fatto.

Perché ve la racconto 

A seguito di un percorso di orientamento può accadere che un utente finisca per congelarsi sui risultati ottenuti durante il percorso, perdendo di vista i fattori tempo e cambiamento che inevitabilmente possono subentrare nella fase di post-orientamento.

Cosi come può accadere che affronti il percorso aspettandosi che al termine di esso avrà trovato la sua strada nel mondo e sarà già in grado di realizzare tutti i suoi desideri, magari addirittura immune dal fare future scelte sbagliate o dal commettere errori.

È quindi importante per un orientatore aiutare un utente a comprendere che certamente un percorso di orientamento è importantissimo. Ma non basta. Nel “dopo percorso” è importante che si metta in gioco, laddove necessario che abbracci cambi di rotta, che si sperimenti e sperimenti persino esperienze lontane da lui.

Perché spesso sono proprio queste esperienze e questi cambi a fargli comprendere meglio la sua strada (dove avvicinarsi e dove allontanarsi), a facilitarlo nel raggiungimento degli obiettivi (rendendolo più employable, attrattivo, se ben raccontati), a dargli conferma che la strada intrapresa è quella giusta o al contrario a fargli comprendere che è arrivato il momento di intraprenderne altre. O potranno anche semplicemente solo rappresentare la possibilità economica di realizzare nel concreto il suo desiderio.

A cura di Rovena Bronzi. Orientatrice Asnor, Job & career Coach, Consulente di Orientamento professionale, Assistente del personale in Svizzera e laureata in psicologia del lavoro.

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