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- 30/7/2024
Il ruolo dell'orientatore nel difficile compito del racconto di sé
La mia scelta di diventare Orientatrice è stata mossa anche dalla necessità di avere tra le mani ulteriori strumenti da utilizzare per far parlare i ragazzi, per far capire loro che la propria opinione è importante e che, quando è simile a quella già espressa da un compagno, c’è bisogno di comunicarla con le proprie parole. A cura di Ileana Ogliari, Orientatrice Asnor.
Come incoraggiare bambini e ragazzi a raccontarsi
- “Come è andata oggi a scuola?”
- “Bene”
- “Cosa avete fatto?”
- “Niente”.
Questo dialogo si ripete ormai da tempo immemore e quotidianamente in tutte le case in cui vivono bambini e ragazzi in età di obbligo scolastico per cui, a fronte di qualche chiacchierone per natura, tantissimi non si discostano dalle risposte poco sopra riportate. Certo, non vuol dire assolutamente aver “bigiato” o in qualunque altro modo si voglia definire il non aver varcato la soglia della scuola che si frequenta, anzi, il problema più grande è legato alla capacità di narrazione.
Il raccontarsi è qualcosa che si impara e poiché i bambini apprendono innanzitutto per imitazione, se non sono gli adulti i primi a parlare di sé e a raccontare, i piccoli possono semplicemente non sapere come si fa.
Proviamo a riformulare le domande “di rito” fornendo elementi diversi che possano suscitare anche risposte più articolate. Ad esempio: “Cosa hai imparato oggi di nuovo?”, “C’è stata un’attività oggi in cui ti sei sentito più coinvolto?”, “Hai scoperto qualcosa in più dei tuoi compagni?”. Ogni genitore sa quali tasti toccare per iniziare e soprattutto mantenere un dialogo con il proprio figlio.
Un insegnante attento si accorge se un alunno ha un’urgenza comunicativa o fatica a esprimerla, per questo sono necessari esercizi continui di stimolo e rinforzo. Forse, la mancanza di loquacità può risiedere nella convinzione, o autoconvinzione, da parte del ragazzo, che la sua opinione non è ritenuta importante. Allora perché esternarla?
Non sono “vuoti”, non sanno quali parole usare
Eppure tutti sappiamo che ogni bambino o adolescente con cui entriamo in contatto ha un mondo sconfinato dentro di sé, a volte bizzarro, a volte dai contorni più marcati, altre confusionario o ancora caratterizzato da orizzonti davvero sconosciuti.
Guidarli alla lettura di questa interiorità è compito dell’adulto di riferimento. Il genitore in primis, ma anche tutte le figure educative con cui entrano in contatto i giovani come gli insegnanti e, tra questi, gli Orientatori, hanno la responsabilità di fornire gli strumenti per farlo perché da soli possono non sentirsi in grado.
La narrazione è in alcuni una capacità innata, ma in molti altri un ostacolo a volte insormontabile che genera insicurezza, paura di sbagliare, timore di essere giudicati. Allora non possiamo fare a meno di dedicare tempo alle strategie da utilizzare per riformulare le domande di rito, rendendole una vera e propria guida al racconto di sé o di cosa si è vissuto. Il saper argomentare è, in molti casi, uno dei problemi più diffusi in età preadolescenziale.
Il ruolo dell’Orientatore, alcuni suoi compiti
Ancora più complesso diviene il racconto di come ci si sente nell’affrontare l’ordinario ma anche lo straordinario, di quali emozioni mettono in moto i nostri sensi e, infine, di quali sentimenti entrano in gioco.
Lavorando molto con i ragazzi in età preadolescenziale, mi rendo conto che quello che loro manca davvero è la capacità di verbalizzare gli stati d’animo, di definire le emozioni, di associare ad esse dei sentimenti. La mia scelta di diventare Orientatrice è stata mossa anche dalla necessità di avere tra le mani ulteriori strumenti da utilizzare per far parlare i ragazzi, per far capire loro che la propria opinione è importante e che, quando è simile a quella già espressa da un compagno, c’è bisogno di comunicarla con le proprie parole perché è solo pronunciandole che noi possiamo appropriarci veramente del senso che diamo loro.
Si acquista consapevolezza del potere della parola quando la si utilizza, la si manipola, la si mastica e si arriva a farle trovare la giusta collocazione all’interno del nostro lessico personale. Solo imparando a dare ad ogni emozione il proprio nome la si può riconoscere consapevolmente e si può conquistare la capacità di inserire la parola che la definisce tra quelle in grado di raccontarci.
Conclusioni, un suggerimento concreto
Innumerevoli sono le attività che possono essere proposte per stimolare ed abituare alla narrazione di sé, può essere una discussione su un episodio accaduto nel gruppo e che ha suscitato meraviglia, malumore, incomprensione, oppure utilizzare immagini simboliche, ricorrere ad oggetti familiari o del tutto sconosciuti per proporre associazioni personali, o progettare un gioco di ruolo, un’attività ludosofica.
Oppure si può iniziare prendendo in prestito le parole da altri. Qualche tempo fa, all’interno di una delle classi in cui insegno (i ragazzi sanno – fa parte del patto educativo che abbiamo concordato insieme - che ogni tanto dedico del tempo a raccogliere “materiali” da inserire nel loro quaderno personale dell’orientamento e si approcciano alle attività con divertita curiosità), ho proposto di individuare una canzone che non necessariamente fosse quella preferita in assoluto ma il cui testo contenesse delle parole in cui si rispecchiassero.
Non sarebbe bastato, però, scegliere alcuni versi, era necessario anche scrivere accanto ad essi il perché. Inutile dire quanto siano stati in grado di stupirmi. Ecco, un suggerimento concreto potrebbe essere proprio questo: iniziare proponendo di prendere in prestito delle parole scritte o pronunciate da altri, ad esempio un poeta, un cantante, un amico durante una condivisione di idee con il gruppo dei pari o un adulto durante un momento di confronto.
Piano piano queste parole sedimenteranno dentro di loro e, al momento opportuno, essi sapranno esattamente dove collocarle per riuscire a raccontarsi, senza equivoci né incertezze. Abbiamo l’insostituibile compito di incoraggiarli a vincere paure, insicurezze e, a volte, l’arroganza e la spavalderia che, nella maggior parte dei casi, nascondono la reale esigenza di sentirsi qualcuno per gli altri.