Martedì 3 Dicembre 2024

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  • 12/4/2022

Come affrontare un momento di crisi personale. I consigli di un'Orientatrice Asnor

“Mi arrendo o non mi arrendo?” Quando ci troviamo di fronte a questo interrogativo, a un momento di crisi personale, non aspettiamoci una risposta dagli altri, perché in realtà ognuno di noi sa già quando è il momento di farlo: basta ascoltarsi e magari seguire i preziosi suggerimenti che Seth Godin offre nel suo libro “Basta! - sapere quando restare, capire quando lasciare”. A cura di Rovena Bronzi, Job Coach e Consulente di orientamento professionale.

Sapere quando restare, capire quando lasciare

“Mi arrendo o non mi arrendo?” Nessuno potrà mai darvi una risposta, perché in realtà ognuno dentro di sé sa già quando è il momento di farlo: basta ascoltarsi e magari seguire i preziosi suggerimenti che Seth Godin offre nel suo libro ““Basta! - sapere quando restare, capire quando lasciare”.

Innanzitutto, il primo passo fondamentale da fare è chiedersi se ciò che si ha davanti è:

  • un fossato:“…una crisi temporanea che potreste superare con uno sforzo in più…”
  • un vicolo cieco: “…una situazione che non potrà mai migliorare neppure con il massimo impegno…”
  • un salto: “…una situazione in cui non si può mollare fino a quando non si precipita e l'intero edificio crolla in pezzi…”

Quando scegliamo di iniziare qualcosa di nuovo, di regola lo facciamo con entusiasmo, carica, motivazione, certi che ne valga la pena. Poi però subentrano i primi ostacoli, i primi no, le prime delusioni che magari si protraggono e dalle quali sembriamo non riuscire ad andare oltre.

È qui che inizia la fase più difficile, quella in cui cominciamo a sentirci stanchi, demotivati e demoralizzati. Cominciamo a chiederci se ne vale davvero la pena, se forse chi ce l’aveva sconsigliato, perché magari considerava il rischio troppo alto, non aveva ragione, se non è arrivato il momento di arrenderci, di dire basta, di riprendere la “retta” via (quella della ragione) e di smetterla di fantasticare.

La crisi temporanea, un fossato: non arrendersi

Potremmo definire un fossato come quel cammino duro e impegnativo che ci separa dall'obiettivo tanto desiderato, dalla nostra omega.
All’inizio, i primi risultati e le prime piccole conquiste ci sembrano traguardi immensi e meravigliosi e ciò ci incoraggia, ci conferma che siamo sulla buona strada e quindi che non dobbiamo arrenderci. Ma poi arrivano le rinunce.

Succede anche che via via l’asticella delle aspettative inizia ad alzarsi, a portarci a sperare che quei risultati ora piccoli diventano sempre più evidenti e maestosi ai nostri occhi, a quelli di chi all’inizio ci ha supportato e incoraggiato ma soprattutto di chi non l’ha fatto.
Invece, sembra proprio che da quel momento in poi non ci si elevi più, non si riesca più a fare quel passo avanti che finalmente ci porta a raggiungere la vetta, mentre magari vediamo i nostri “competitors” procedere a gonfie vele.

Siamo caduti in un fossato e qui arriva il difficile: dobbiamo investire tutte le nostre forze, il nostro impegno, creare nuovi paradigmi, pensare al piano B, fare tutto quello che è sotto il nostro controllo per risalire da quel fossato, pensare magari ad altre strade alternative da percorrere. Ma soprattutto avere tanta pazienza e costanza, in considerazione del fatto che potrebbero necessitare anni.

Certamente dinnanzi a un fossato quello che NON dobbiamo fare è:

  1. arrenderci e ritirarci proprio ora, accettare di vivere in una sorta di infelicità che solo l'arrendersi a quel punto del cammino può portarci, dopo la fatica, il tempo, le energie spese, i primi successi che ci hanno fatto capire che era la strada giusta. Inoltre, lo sapevamo dall’inizio che non sarebbe stato facile: quindi perché arrenderci proprio ora, con la consapevolezza che tanto ormai non abbiamo più niente da perdere? 
  2. lasciarci condizionare dal dolore, dalla demotivazione, dalla paura o da altre emozioni negative che possono portarci a credere che non ce la faremo mai.

Al contrario: guardiamoci indietro e concentriamoci sul percorso che fino a quel momento abbiamo fatto, lasciamoci illuminare ed ispirare dai risultati fino a quel momento raggiunti.

Ma non solo, visualizziamo e immaginiamo il percorso che ci manca, vivendo già il momento in cui usciremo da quel fossato, come saremo felici e come ci sentiremo fieri e orgogliosi di noi stessi.
Magari dobbiamo solo introdurre nuove strategie, rivederne altre, trovare percorsi alternativi e più produttivi.

Un vicolo cieco: è arrivato il momento di cambiare

Potremmo definire un vicolo cieco come tutte quelle situazioni in cui si lavora molto senza che accada mai nulla.
Una sorta di circolo vizioso da cui proprio non se ne esce. Si lavora e basta, si soffre, ma per principio o orgoglio non ci si vuole arrendere, lasciando in mano il nostro destino all’ossessione del dover raggiungere in ogni caso quel traguardo.

Ed è proprio questa ossessione ad impedirci di aprire gli occhi e vedere che non c'è niente che possa far pensare di potercela fare, se non un auto-convincimento personale che con il tempo ci sta solo portando a logorarci e a distruggere il rapporto con tutte le persone che ci stanno vicine.

È a questo punto che bisogna prendere atto che è un vicolo cieco, riprendere in mano la nostra vita e pensare che è arrivato il momento di cambiare, prima che siano le circostanze a costringerci a farlo.

Mollare non significa fallire, ma permettere a noi stessi di essere liberi ed eccellenti in un'altra strada, in un altro percorso e di essere proattivi/reattivi per evitare l’auto-distruzione.
Perseverare in un vicolo cieco è il vero fallimento, soprattutto perché ci impedisce di andare oltre e di investire le energie in qualcosa che finalmente sarà realizzabile. 

Un salto: affidarsi al caso?

Il salto, come dice il nome stesso, è un salto nel vuoto e non sappiamo che cosa in quel vuoto ci attende, perché non abbiamo potuto pianificare e organizzare nulla, ci affidiamo al caso laddove non sia più possibile tornare indietro o andare avanti.

Qui la domanda più logica è “Cosa fare prima, per non arrivare destabilizzati e impreparati a questi momenti?”: non sempre è possibile essere proattivi su tutto o prevedere cosa succederà, ma spesso è possibile cercare di cogliere anche i più piccoli segnali, “aprendo gli occhi” quando è ancora possibile scegliere o decidere cosa fare.

Per concludere, quindi, non dimenticatevi mai dell’importanza di pianificare, organizzare, essere proattivi ma soprattutto iniziare a seguire quella cultura della transizione che purtroppo ancora oggi è spesso sottovalutata. 
Si pensa infatti che quando si sta male in una certa situazione, l’unica possibilità è quella di cambiare nell’immediato (“o…o”) togliendo di fatto tempo e cura nella costruzione di un proprio cambiamento. E ciò può portare più facilmente a incorrere nel rischio di ritrovarsi in un vicolo cieco o dinnanzi a un salto, senza saper che fare o poter tornare indietro.

Prendetevi tempo, provate a cominciare a ragionare per “e…e” e iniziate a costruire, un passettino alla volta, quel cambiamento che vi cambierà la vita.

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Rovena Bronzi

Rovena Bronzi

Orientatrice Asnor

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