Sabato 27 Luglio 2024

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  • 17/2/2023

Educare alla musica, dalla formazione classica all'approccio multidisciplinare

La musica intesa come disciplina, in Italia, è stata per decenni relegata ai conservatori. L'insegnamento “non formale” all'interno della scuola pubblica è sempre visto con un occhio critico, quando in realtà può davvero aiutare i giovani a scoprire il proprio talento musicale. Approfondimento a cura di Renato Pezzano, musicista, docente di chitarra e membro del Comitato Tecnico Scientifico di Asnor.

La musica come disciplina, dalla formazione classica alla didattica informale

La musica intesa come disciplina, in Italia, è stata per decenni relegata, in ambito didattico, ai conservatori, istituzioni statali che, fino a poco tempo fa, istruivano i discenti esclusivamente in ambito classico, con lo studio dei grandi autori musicali del passato e un repertorio praticamente obbligato per sette, otto addirittura dieci anni prima del conseguimento del famoso “diploma”. Per cui la formazione classica è stata ritenuta, da sempre, l'unica in grado di poter abilitare un diplomato all'insegnamento nelle scuole medie, relegando la musica cosiddetta leggera al puro ambito di intrattenimento radiofonico o televisivo.

Con gli anni le cose sono fortunatamente cambiate, infatti, nei primi anni settanta, sono cominciate a nascere le scuole di musica private, sviluppatesi poi negli anni ottanta e novanta, dove un allievo aveva la possibilità di studiare anche un programma non strettamente classico, ma di spaziare nei generi che nel frattempo si erano affermati a livello popolare.

Queste scuole di musica, negli anni, hanno prodotto musicisti di alto livello che poi hanno cominciato a fare della musica la propria carriera, sia come esecutori ma soprattutto, a loro volta, come insegnanti privati, con l'avvento di scuole sempre più strutturate e con la possibilità di cominciare a sdoganare anche nelle scuole elementari e nelle superiori la didattica “informale”, cioè non legata all'ambito classico ma comprendente repertori e tecniche di musica moderna e contemporanea, anche grazie all'introduzione di una progettualità esterna, quasi sempre di stampo associativo, con corsi di strumento come la chitarra acustica ed elettrica, la batteria, le tastiere e, negli ultimi due decenni, l'avvento del PC e del digitale come strumento di composizione. 

Parallelamente, è stato introdotto l'insegnamento del jazz nei conservatori e, in alcuni istituti, addirittura i corsi di strumento pop, fino all'avvento dei licei coreutico/musicali e delle scuole medie, ormai numerosissime, ad indirizzo musicale.

Nonostante questo, l'insegnamento “non formale” all'interno della scuola pubblica è sempre visto con un occhio troppo critico dai docenti cosiddetti di conservatorio, quasi fosse una sorta di dissacrazione della didattica tradizionale, legata a schemi spesso obsoleti e, a volte, noiosi.

L’apprendimento del linguaggio musicale

L'apprendimento del linguaggio musicale, inteso non solo come teoria ma come pratica strumentale, prevede una serie di attività, legate sia al ritmo, in età ad esempio prescolare, sia all'acquisizione di tutta una quantità di abilità psico-motorie che rendono l'allievo capace di coordinare il lavoro “intellettuale”, l'idea, con la manualità tipica di chi suona uno strumento, e sviluppare quindi la coordinazione, spesso asincrona, di movimenti delle mani o dei piedi.

Inoltre, l'armonia e la melodia su tutti gli strumenti sono guidate da regole matematiche che stimolano la capacità di calcolo e il ragionamento, oltre a sviluppare le capacità mnemoniche legate all'acquisizione di norme e figure. 

Eppure, nonostante l'enorme apporto multidisciplinare legato alla materia musicale, a prescindere dal genere o dallo strumento, sembra che la “musica” sia sempre vista come un contorno, come un hobby, come un simpatico passatempo da coltivare ma senza dedicarci chissà quali risorse, sempre mortificata da altre materie ritenute più importanti e più formative.

Il mestiere del musicista e l’orientamento a scuola

Questa sembra essere una “bad practice” tutta italiana, nazione in cui purtroppo il mestiere del musicista, al di fuori del conservatorio o della didattica statale, è sempre visto come precario, come un secondo lavoro, come un'attività artistica assolutamente priva di importanza per il tessuto economico e sociale, tranne nei casi in cui un’artista arrivi ai fasti televisivi e quindi del mainstream, unico momento in cui gli è riconosciuto un importante ruolo sociale grazie, soprattutto, agli ingenti guadagni e alla notorietà. 

Negli anni ho avuto modo di portare, soprattutto privatamente in strutture ma anche nella scuola pubblica, una serie di progetti votati sia all'apprendimento diretto dello strumento, con cenni teorici soprattutto relativi al ritmo e alla melodia, ma con una particolare attenzione alla pratica strumentale diretta, all'approccio immediato allo strumento per produrre suoni e accompagnamenti. Ho insistito inoltre sull'educazione all'ascolto “consapevole” dei vari generi musicali, analizzando ad esempio le armonie che vengono usate nelle colonne sonore cinematografiche o teatrali, focalizzando l'attenzione sull'utilizzo delle note, dei suoni e delle armonie per generare sensazioni o emozioni legate a immagini o a situazioni di scena, accompagnando i discenti nella fruizione non passiva del momento musicale, ma analizzando attivamente tutti i momenti sonori, guidando l'ascoltatore, raccogliendo risultati sorprendenti non solo in allievi “profani” ma anche e soprattutto in allievi già abbastanza esperti dello strumento ma ancora inconsapevoli delle potenzialità infinite proprie del linguaggio musicale.

In questo articolo si parla di

Renato Pezzano

Renato Pezzano

Musicista e docente di chitarra

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