Sabato 27 Luglio 2024

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  • 9/11/2020

Didattica, formazione e gaming: la figura del ludo-strategist

In Italia, le potenzialità del gioco fuori dalla dimensione ludica sono ancora tutte da esplorare, ma ci sono già interessanti realtà che stanno portando avanti queste tematiche e generando un dibattito molto interessante. In questa breve intervista l’esperto Carlo Meneghetti ci parla del ludo-strategist, una figura strategica per declinare il gioco all’apprendimento, sia nell’ambito della formazione che della didattica scolastica.

Carlo Meneghetti è un game designer ludo-strategist che si occupa della formazione nelle aziende, nelle scuole e nelle ludoteche. Inoltre, è docente di teologia della comunicazione presso l’Istituto Universitario Salesiano Venezia (IUSVE). Nel 2019 ha pubblicato In gioco Veritas per Dario Flaccovio Editore, mentre quest’anno è uscito Media Education, analisi critica e buone pratiche per Libreriauniversitaria.it.

Autore di diversi giochi e party game, è una delle figure più riconosciute e stimate nel campo del gaming per la didattica, dal 2016 è anche presente al Lucca Comics & Games Education, dove propone workshop creativi.
In questa breve ma esaustiva intervista, ci introduce su alcune tematiche poco conosciute ma estremamente interessanti per pensare al gioco come strumento per l’educazione e la formazione, sia scolastica che professionale.

Iniziamo la nostra intervista proprio da qui, dalla figura del ludo-strategist come profilo professionale per sviluppare il gioco fuori da una dimensione ludica…

Sì, io utilizzo la terminologia ludo-strategist per definire chi si occupa dell’attività che viene fatta in ambito della formazione, della scuola, della didattica a distanza, con obiettivi che possono essere diversi. Infatti, mentre il toy design si occupa della costruzione del giocattolo in sé, per esempio, pensare a come costruire un nuovo pallone, invece il game designer è colui che va a realizzare il gioco vero e proprio, ovvero prende il giocattolo, gli dà delle regole, organizza la meccanica del gioco. Quindi, il ludo-strategist si occupa precisamente della valorizzazione di questi momenti di gioco per la formazione.

Come può contribuire quindi il ludo-strategist alla didattica attiva?

Partiamo da una premessa, il gioco in sé è sempre un valore aggiunto che ci può aiutare a sviluppare le soft skills. Infatti, attraverso il gioco io posso attivare delle competenze trasversali che magari con altre attività più tradizionali non riuscirei a stimolare. Dopodiché, ti permette anche di osservare gli altri in modo diverso, nel senso che tu scopri te stesso ma scopri anche gli altri. Il gioco implica precisamente una relazione. Dunque - se non è quello classico solitario - comporta una attività che è sempre di confronto e di scambio, permette così il decentramento. Mi trovo “l’altro”, quindi, è come se mi trovassi allo specchio. Inoltre, giocare implica la libertà, io sono parte attiva ma senza una costrizione. Quindi, io vado a imparare qualcosa, ma poiché non sono costretto a farlo, vivo il processo in modo diverso. 

Infine, bisogna pensare che nella vita non si smette mai di giocare…per capirci, anche la raccolta punti al supermercato è un gioco. Un esempio calzante di come il gioco può essere educativo è Pokemon go. Questa piccola grande app ha permesso a tante persone di scoprire parti della città muovendosi con lo smartphone. Il gioco, quindi, permette di osservare discipline, contenuti, concetti, in modo diverso. L’importante è che chi va a proporre questi giochi abbia la giusta conoscenza per saper declinare il gioco nell’apprendimento. 

Saper declinare il gioco per l’apprendimento: è proprio questo il compito del ludo-strategist?

Esatto. Il game designer ha il compito di ideare il gioco. Poi, entra in campo anche il ludo-strategist, chiamato anche ludologo, ovvero quella figura che va a declinare il gioco per quella attività particolare che chiede l’insegnante o il formatore, per esempio. Io definisco questa figura ludo-strategist, proprio per sottolineare il disegno di una strategia finalizzata a declinare le attività del gioco fuori dal contesto ludico. Con questo approccio, i ludologi stanno entrando oramai da qualche anno nel mondo della formazione. In una classe di scuola secondaria, media o superiori, per esempio, generalmente si gioca purtroppo molto poco. Perché si pensa ancora che il gioco sia un ostacolo per imparare. Questo è un mito che occorre assolutamente sfatare.

In Italia, quindi, si gioca ancora poco e le potenzialità del gaming per la didattica sono ancora tutte da esplorare…

In Italia ci stiamo approcciando al gioco a scuola solamente negli ultimi anni. Ultimamente sono nati anche dei corsi per i docenti, ma le scuole che si buttano in questo campo sono ancora molto poche. Sicuramente, si sta creando un dibattito, ci sono per esempio diversi gruppi su Facebook dove ci si confronta. Il Lucca Comics sta valorizzando molto questo ambito di studi, così come il Modena play. Ad oggi, in Italia devi avere il docente sensibile che si attiva e propone delle attività ludiche in aula. Nell’università io cerco di farlo quasi in ogni lezione, perché ho visto che si sviluppa meglio un approccio esperienziale che va a cogliere l’attenzione degli studenti. Insomma, se è vero che siamo ancora una piccola nicchia, comunque ci sono anche dei pionieri che stanno portando avanti in maniera creativa queste tematiche. 

C’è un’associazione che si chiama Lungi (Libera Università del Gioco) che organizza per esempio una piccola summer school su questi temi. Per quanto mi riguarda, non c’è nessun limite al gioco, parlo sia per la didattica a scuola che per la formazione nel mondo del lavoro. Anche il grande manager della multinazionale, per esempio, potrebbe attivare dei percorsi di gioco nella sua azienda con l’obiettivo di sviluppare conoscenze fondamentali. Scuola, formazione e anche la quotidianità, con il gioco possono avere sicuramente un importante valore aggiunto.

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