Sabato 27 Luglio 2024

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  • 27/4/2020

Praticare (con successo) lo Smart Working. L'esperienza di EFM

Il tema dello smart working è esploso con l’inizio della pandemia. Ma il lavoro smart è tutt’altro che una novità. Ci sono realtà, anche in Italia, che hanno scelto questo modello già da tempo e convintamente. Come nel caso di EFM, Real Estate & HR Tech Company.

Smart Working, tutti ne parlano ma pochi lo conoscono davvero. E sono ancora meno quelli che lo praticano. Soprattutto se si tratta di vero lavoro “smart” e non di telelavoro o impiego da remoto, termini spesso usati come sinonimi ma che non lo sono affatto. Perché lo smart working non significa semplicemente svolgere l’attività lavorativa da casa, ma ripensarne completamente gli elementi cardine.

“L’espressione ≪Andare a lavoro≫ non esiste più”. Ad affermarlo è Stefano Scravaglieri, Responsabile del Personale di EFM, una Real Estate & HR Tech Company con due sedi in Italia (Roma e Milano), sei nel resto del mondo, più di 160 dipendenti e diversi collaboratori. Una frase semplice che svela un approccio chiaro e autentico allo smart working, che fa saltare gli schemi legati ai concetti di luogo e orario di lavoro.

Cos'è lo smart working

Smart nel DNA

Ormai da oltre un anno, in EFM, lo smart working è una realtà. Tutti i dipendenti dell’azienda, senza distinzione di mansione, livello o attività, hanno un contratto di lavoro agile. questo significa che sono tenuti a recarsi in ufficio solo per il 20% delle loro ore settimanali, l’equivalente di una giornata. Per il resto del tempo, possono lavorare dovunque e in qualunque momento. E non devono chiedere autorizzazioni ma solo organizzarsi con il loro team.

L’impressione che si ha parlando con chi lavora in EFM è che l’azienda abbia lo smart working nel DNA. D’altronde, in tempi non sospetti, il CEO Daniele Di Fausto ne dibatteva ampiamente sul sito di Huffington Post.

“È dal 2010 che la nostra azienda, nell’attività di business, ha iniziato a occuparsi di luoghi più che di spazi”, spiega sempre Scravaglieri. “Ci siamo concentrati sulle persone, che possono lavorare ovunque, più che sui metri quadrati, e ci siamo preoccupati di rendere accessibili strumenti e dati.” Un cambiamento che ha mostrato i primi effetti proprio sulle sedi fisiche di EFM, a Roma e Milano. Edifici votati all’innovazione, pensati con spazi capaci di ibridare tutti gli aspetti della vita quotidiana.

Il racconto di Statuto 11 – Sede di EFM a Milano

Una sfida riuscita

Torniamo, però, al progetto di smart working. I nuovi contratti di lavoro agile sono stati introdotti nell’ultimo trimestre del 2018, per poi entrare definitivamente a regime a gennaio 2019. Tutti i dipendenti avevano già l’occorrente: pc aziendale, telefono e strumenti di digital collaboration.

“L’accoglienza da parte dei dipendenti è stata fin da subito positiva”, spiega Simona Gollini, Responsabile Compliance, “Solo alcuni project manager, all’inizio, hanno manifestato un po’ di ansia anticipatoria, perché preoccupati di non poter seguire al meglio le varie lavorazioni”. Ansie che sono svanite presto, visti i risultati incoraggianti.

In media, nel periodo pre-Covid ogni giorno, c’erano 16 persone che lavorano fuori dalla sede, con un aumento costante andato avanti per tutto il 2019. E in alcuni momenti si raggiungevano anche picchi di 40-50 persone che sceglievano di lavorare contemporaneamente in modalità smart. Il tutto senza ripercussioni negative sull’attività dell’azienda, che anzi, nello stesso periodo di tempo, ha visto crescere il volume d’affari e la marginalità del proprio business.  

Il “segreto” è la responsabilizzazione, che prende il posto del controllo, riuscendo a motivare molto di più i dipendenti, a qualsiasi livello. Il lavoro non è più misurato in termini di attività ma di obiettivi. E i risultati economici dell’azienda diventano condivisi. Un “trucco” che svela anche l’inganno di tutte quelle realtà che, al contrario, interpretano lo smart working come la replica casalinga del modello ufficio.

I numeri dello smart working in Italia

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