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- 11/11/2025
Reelaunchers | Puntata 3: Intervista a Michele Franzese
Ospite di questa puntata: Michele Franzese, Chief Marketing Officer, Digital Transformation Manager, imprenditore seriale ed event maker che ha cambiato radicalmente il suo percorso professionale, passando dagli studi scientifici (iscrivendosi alla facoltà di Ingegneria) a quelli più artistici (esperienza attoriale) e umanistici con la Comunicazione e il Marketing.
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E. B. - Ciao a tutti, ciao Michele. Siamo in un nuovo episodio di Relaunchers, la rubrica Asnor in cui conduco interviste a persone che hanno deciso di rilanciare il proprio percorso professionale. Raccontiamo storie di coraggio, multipotenzialità e competenze, di chi ha scelto di rivedere la propria carriera e costruire qualcosa di nuovo. Michele, benvenuto.
Michele Franzese, per chi non lo conoscesse, è Chief Marketing Officer, fondatore di Scai Comunicazione e conosciuto come il padre della Rome Future Week. Non anticipo altro, perché sarà lui a raccontarsi. Iniziamo: qual è stato il tuo percorso formativo e da che settore provieni?
M.F. - Il mio percorso formativo è stato piuttosto complesso. Ho iniziato studiando ingegneria a Roma, principalmente perché si era iscritto un mio amico. Ho frequentato per quattro anni, sostenendo diversi esami, ma senza reale convinzione. Roma mi aveva trascinato più nella vita sociale che in quella universitaria. Dopo un po’ ho deciso di tornare a Potenza, scelta che si è rivelata fortunata: lì ho intrapreso gli studi in Lettere e Letteratura, che però ho completato solo di recente, dopo tanti anni.
A Potenza ho avuto il tempo e la possibilità di dedicarmi ad attività diverse: musica, teatro, organizzazione di eventi. È stata una palestra incredibile. Il primo grande cambiamento è stato passare da studi scientifici e strutturati a studi umanistici e più creativi. Credo che questa combinazione mi sia servita molto, perché in ogni lavoro convivono una parte creativa e una più analitica. Da lì è poi partito tutto il mio percorso professionale.
E.B. - E qual è stato il settore lavorativo che ti è rimasto più impresso?
M.F. - In realtà sono sempre stato un lavoratore autonomo e imprenditore. Ho avuto diverse esperienze, ma quella che mi ha segnato di più è stata il teatro. Per tre anni sono stato attore professionista in una compagnia con cui ho portato in scena centinaia di spettacoli, anche all’estero. È stato un periodo totalizzante, pensavo potesse diventare la mia carriera, ma poi un litigio con il direttore della compagnia ha cambiato tutto.
Col senno di poi, forse non era la mia strada, ma mi ha lasciato molto. Il teatro mi ha insegnato la gestione delle emozioni, del palco e del pubblico, elementi che ho portato con me negli eventi e nella comunicazione. Ogni esperienza chiusa mi ha lasciato competenze preziose da riutilizzare.
E.B. - La consideri una rottura? Come l’hai vissuta?
M. F. - Sì, è stata una vera rottura. Il teatro ti assorbe completamente: vivi mesi chiuso in sala prove, lavori su un testo, entri dentro un personaggio e poi in un’unica serata ti giochi tutto. Mi ero stancato di questa intensità, di questa concentrazione totale. Passare dal palco all’ufficio è stato un cambiamento drastico.
Da un lato mi mancava l’espressione corporea e la libertà del teatro, dall’altro ho trovato nuovi stimoli nel lavoro organizzativo e creativo degli eventi. È stato il primo grande cambiamento, ma non l’unico.
Un altro momento importante è arrivato dopo quattro anni in cui abbiamo organizzato un grande evento a Maratea. Era un progetto impegnativo, che richiedeva un anno di lavoro per pochi giorni di evento. Poi è arrivato il Covid, si è interrotta la collaborazione con alcuni soci e abbiamo deciso di chiudere quell’esperienza.
Quella fine è stata per me l’occasione per trasferirmi definitivamente a Roma, cosa che desideravo da tempo. Ho cambiato tutto: città, ufficio, persone, clienti, pur restando nella stessa azienda. È stato un anno di totale riorganizzazione, in cui ho dovuto rimettere in discussione abitudini e certezze. Anche i piccoli rituali quotidiani, come il caffè preso nello stesso bar, diventano punti fermi che quando cambiano ti fanno sentire spaesato.
E.B. - Incredibile. Direi che tra i tuoi punti di forza ci sono sicuramente adattabilità e flessibilità.
M.F. - Credo di sì, anche se non so se siano doti innate o acquisite. Non ho mai avuto paura dei cambiamenti. Ti racconto un episodio: qualche mese fa ho partecipato a un corso sulle soft skill. Dopo dieci minuti, il docente ha disegnato la classica “zona di comfort”. Io ho detto: “Basta, io voglio rientrare nella mia zona di comfort”, ho salutato e sono andato via. Evidentemente vivo talmente spesso fuori da quella zona che a volte sento il bisogno di tornarci.
E.B - Parliamo di competenze: quali hai sviluppato o potenziato nel tempo?
M.F - Lavorando in agenzie di comunicazione ed eventi si sviluppano competenze molto trasversali. Alcune sono tecniche, come il marketing e la gestione dei progetti, ma anche competenze legate alla sensibilità estetica e alla leadership. Impari a coordinare persone diverse, a gestire tempi, imprevisti e team.
Dal punto di vista tecnico, il marketing è stata la competenza che ho dovuto studiare di più. Non venendo da quel percorso, ho approfondito molto, perché è una disciplina scientifica in continua evoluzione.
Un altro grande cambiamento per me è stato avvicinarmi, dopo i quarant’anni, alla formazione manageriale. Per anni non ho letto nessun libro di management, pensavo che non servissero. Poi, improvvisamente, ho iniziato a leggere moltissimo e in quattro anni ne avrò letti almeno un centinaio. Da ciascuno ho imparato qualcosa, anche da teorie molto diverse tra loro. Credo che studiare e confrontarsi con modelli differenti aiuti a sviluppare un proprio modo di gestire persone e organizzazioni.
È un esercizio che consiglio a tutti: colmare le proprie lacune con lo studio continuo, soprattutto se non si è seguito un percorso accademico specifico come un MBA.
E.B - Hai un punto di vista da imprenditore: secondo te, quali sono le caratteristiche di un team vincente e in cui si sta bene?
M.F. - Domanda difficile! Credo che la cosa più importante siano le soft skill. Lo penso da sempre: contano più delle competenze tecniche. Le hard skill servono, ma sono le capacità relazionali e comunicative a tenere unito un gruppo.
Dopo tanti anni di lavoro, ho capito che la chiave è la comunicazione interna, in particolare la capacità di dare feedback. È un’abilità complessa: non è mai piacevole dire a qualcuno che ha sbagliato o che potrebbe fare meglio, ma è fondamentale per evitare incomprensioni e tensioni che, se non gestite, possono minare l’ambiente di lavoro. Credo che la cultura del feedback sia uno degli aspetti più potenti e difficili da sviluppare.
E.B. - Sono d’accordo. E quali sono state le difficoltà più grandi che hai incontrato nei tuoi percorsi di cambiamento?
M.F. -La difficoltà maggiore è stata la sensazione di non essere all’altezza. Ogni volta che affronti un cambiamento, anche se ti porti dietro esperienza e competenze, ti rendi conto che c’è sempre molto da imparare.
Dal teatro agli eventi, o da un piccolo progetto a uno più grande, cambia tutto: il contesto, i clienti, le responsabilità. In quei momenti la paura di non avere le competenze giuste è forte. E proprio da lì nasce l’urgenza di formarsi, di studiare, di colmare i gap. È la formazione continua che ti permette di superare la sensazione di inadeguatezza.
E.B. – Perfetto, e proprio su questo: cosa diresti ai recruiter, o anche a te stesso come selezionatore, per migliorare i processi di selezione e rendere il mercato del lavoro più inclusivo e attento alle potenzialità dei candidati?
M.F. - Credo che la parola chiave sia chiarezza. Dopo centinaia di colloqui fatti, ho capito che la cosa più importante è essere chiari fin dal primo incontro. Bisogna spiegare esattamente al candidato cosa aspettarsi: dalle responsabilità al modo di lavorare, dal tipo di ambiente alla flessibilità richiesta.
Se un collaboratore entra in azienda conoscendo bene le regole del gioco, sarà più motivato e non potrà dire “non me l’avevi detto”. La trasparenza iniziale crea fiducia e previene problemi futuri. È un consiglio semplice, ma che cambia radicalmente la qualità delle collaborazioni.
E.B. - Ottimo messaggio, utile a candidati e recruiter. Prima di chiudere, parliamo di Rome Future Week: sono Ambassador per il secondo anno e volevo chiederti come si presenta questa terza edizione.
M.F. - Innanzitutto grazie a te e a tutti gli Ambassador: se l’evento è cresciuto così rapidamente, è grazie a persone come te che ci hanno creduto fin dall’inizio.
Il terzo anno è sempre il più difficile: ormai il pubblico si aspetta molto, gli errori iniziali non sono più concessi e serve una crescita costante. Quest’anno abbiamo scelto un tema forte: le mutazioni. È una parola che può sembrare distopica, ma rappresenta perfettamente il nostro tempo. Viviamo in un’epoca di mutazioni ambientali, tecnologiche e personali, e vogliamo esplorare come queste trasformazioni influenzino il futuro.
Roma Future Week non è un evento che si costruisce con uno schiocco di dita: coinvolge centinaia di persone e organizzazioni, tutte motivate da un obiettivo comune. La vera sfida è trasmettere entusiasmo, una qualità che a Roma serve moltissimo.
Quest’anno abbiamo introdotto alcune novità importanti: la creazione di cluster tematici (formazione, HR, intelligenza artificiale, tecnologie emergenti) e il coinvolgimento di giovani under 25 attraverso un bando che ha raccolto oltre 120 candidature. Avremo anche un grande evento all’Acquario Romano il 19 settembre, con un ospite internazionale che parlerà di futuro e genetica.
Il mio invito è di vivere questa settimana appieno: dopo un anno di lavoro dietro le quinte, per noi è il momento in cui tutto prende vita. Le porte sono aperte, partecipate e godetevi l’energia di questa edizione.
E.B. - L’evento sta quindi arrivando anche fuori da Roma, giusto?
M.F. - Sì. Quest’anno abbiamo iniziato a portare piccoli eventi in altre città, come Torino, per esplorare nuovi ecosistemi legati all’innovazione. Milano è un polo consolidato, ma anche città come Roma, Torino, Napoli, Bari e Palermo stanno vivendo un fermento interessante. Vorremmo portare un po’ dell’entusiasmo della Rome Future Week anche lì, magari con altre edizioni locali in futuro.
E.B. - Grazie Michele per tutte le anticipazioni e per questa bellissima chiacchierata. Vi aspettiamo dal 15 al 21 settembre per “la mutazione”. È stato un vero piacere averti qui.
M.F. - Grazie a te e a tutti coloro che ci hanno ascoltato.




