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- 26/1/2024
La dimensione del "perché" professionale nel bilancio di competenze
“Ora ho capito perché in ogni lavoro che ho fatto era sempre presente questa competenza”.
L’affermazione di Laura, giovane under 30, che quest’anno compie 29 anni, è emblematica di qualcosa che mi accade ogni volta che accompagno una persona a prendere consapevolezza di sé attraverso il bilancio delle proprie competenze o, come spesso dico io, a essere grata di aver riconosciuto le proprie risorse. A cura di Fausto Sana, Orientatore Asnor, Career Coach under 35, Formatore e Consulente.
Negli ultimi mesi, soprattutto dopo la situazione creata dalla pandemia covid-19, mi sono reso conto che i giovani che incontro manifestano sempre di più l’esigenza di trovare un filo rosso che colleghi tutta la loro esperienza.
Per chi non conoscesse il bilancio delle competenze, è uno strumento utilizzato nella consulenza di orientamento professionale. Ricordo che è un processo che ha come obiettivo quello di far emergere - dagli eventi significativi (professionali, di vita, d’esperienza) - elementi di interesse e di disinteresse che possano far riconoscere qualità, competenze, valori professionali utili a definire un obiettivo professionale finale, tenendo conto sempre dei vincoli personali e del contesto socio-economico di riferimento.
Da qualche mese, ho inserito all’interno della prima fase del bilancio delle competenze, ovvero quella di emersione dall’esperienza, lo step del “mio perché professionale”. Attraverso la narrazione di alcune esperienze scelte, e il loro approfondimento in risposta a domande aperte, si individuano temi ricorrenti che possano definire il perché professionale dell’individuo.
Cos’è il proprio “perché” professionale
Ho notato spesso che il perché è erroneamente tradotto con il come o il cosa e di conseguenza noto confusione da parte della persona, che si trova a manifestare lamentele in merito alla propria carriera professionale o incoerenza nelle scelte di carriera.
Sempre di più, il perché professionale del singolo o della singola professionista è “inconsapevole” in relazione al perché della “tribù” professionale con la quale ci si trovava a collaborare o con la quale si desidera collaborare. Questo aspetto penalizza l’individuo nel definire i propri obiettivi professionali, non solo per il futuro ma anche nel presente, influenzando la performance e la qualità del lavoro.
Per esperienza mi sento di dire che:
- il 50% delle scelte che portano a cambiare un contesto di lavoro nasce dalla mancata individuazione del perché professionale, o dalla sua silente e non condivisa manifestazione;
- risulta altrettanto vero che una persona investe maggiormente in motivazione quando il perché professionale trova sostegno e coerenza nel contesto di lavoro.
Se dovessimo ipotizzare e immaginare il perché aziendale e/o del contesto di un team o “tribù” professionale, dovremmo utilizzare l’immagine che Simon Sinek ha tradotto nel suo libro “Trova il tuo perché”, rifacendosi all'immagine dell’albero e del nido.
In un contesto professionale e/o aziendale sono tre i livelli che incontra il mio perché professionale e il perché dell’azienda:
- l’albero rappresenta l’interezza dell’azienda e la totalità del personale;
- i rami rappresentano il settore di lavoro dove io opero all’interno dell’azienda/ente;
- il nido rappresenta i rapporti stretti che ho costruito e costruiscono il mio team di lavoro.
Quando nella consulenza e nel processo del bilancio di competenze si deve ipotizzare il nuovo obiettivo professionale e quindi la ricerca attiva del lavoro, il personal branding, il network professionale, questa dimensione “del mio perché professionale” viene trascurata.
Se non viene validata, ciò può generare loop esperienziali simili a quelli precedenti da cui si vuole prendere le distanze o per i quali si desidera ricercare altro.
È come quando desideriamo cucinare la pizza in casa e per dimenticanza optiamo per una nuova farina acquistata in un nuovo punto vendita. Noi conosciamo come si impasta la pizza con una determinata farina, ma non basta saper impastare la pizza per poter utilizzare un qualsiasi tipo di farina. Noi impastiamo la pizza con quella farina perché è proprio quella farina che definisce il perché amo cucinare la pizza. Utilizzo una determinata farina perché desidero che la pizza si presenti in un determinato modo.
Conclusioni, l’esperienza di Laura
“Ora capisco che in ogni lavoro che ho svolto per me era importante rispondere con cura e attenzione alle richieste dei colleghi. Portare a termine il lavoro per me significa essere consapevole che il lavoro è terminato se tutti abbiamo dato il meglio di noi stessi. Quindi il mio perché è: il mio fare la segretaria attenta, con una pianificazione organizzata per permettere a tutto l’ufficio di procedere insieme come squadra, per rispondere alle esigenze dei clienti non sempre ordinate. Ciò si traduce in: organizzo tempestivamente l’ufficio perché tutti possano passarsi la palla e fare goal e rispondere alle esigenze dei clienti”.
Ringrazio Laura, una ragazza che ho seguito nel suo percorso di orientamento professionale e che mi ha donato queste parole. Sembrano parole scontate, ma riuscire a far emergere così tanta consapevolezza e luce, specie in un momento storico come questo, è estremamente utile e costruttivo.
Il mio augurio per il nuovo anno è di approfondire il proprio perché professionale per una semplice ragione: tutti noi lavoriamo non solo per un'esigenza personale ma anche per mettere a disposizione il nostro valore per lo sviluppo di chi incontriamo.