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- 25/8/2023
Insoddisfatti: l'argine alla fine del lavoro
Per il Workplace Report 2023 di Gallup in Italia appena il 5% dei lavoratori dipendenti è coinvolto nel proprio lavoro. Siamo ultimi in Europa e tra gli ultimi nel mondo, in una classifica che evidenzia ormai lo iato profondo che si è generato nel rapporto tra le persone e il lavoro. A cura di Vito Verrastro, Direttore responsabile del Magazine l'Orientamento, Giornalista e Fondatore di Lavoradio.
Allargando la visuale al mondo, le persone mediamente coinvolte sono il 23%, mentre il 59% è composto dai quiet quitter, ovvero chi si limita a “tirare a campare” fino al giorno dello stipendio facendo il meno possibile; il residuo 18% è ancora più dannoso poichè sfoga la sua frustrazione invadendo e contaminando negativamente anche le sfere dei colleghi.
Ma cosa sta succedendo? È la fine di un’era? A fronte dei tanti che il lavoro lo cercano e non lo trovano, chi ce l’ha è scontento, vuole lasciarlo o fa il minimo indispensabile per trascinarsi alla fine del mese, abbassando performance e produttività.
Volendo dare una chiave costruttiva e orientativa all’analisi, senza poter andare in profondità nelle tante concause che determinano la situazione emergenziale descritta dai dati (a causa dello spazio ridotto), potremmo ragionare su un aspetto macro: nel mare in tempesta di situazioni di rapido mutamento e per nulla lineari come quelle attuali e future, se non si hanno basi solide si rischia seriamente di naufragare.
Da dove iniziare, allora? Occorre agire sia sul fronte della consapevolezza di sé sia su quello della passione, della motivazione e del purpose (lo scopo profondo) che dovremmo avere sul piano della realizzazione personale e della responsabilità sociale, andando ben oltre al lavoro inteso come “posto”, come “compitino” o come “stipendio”. Le basi su cui costruire, allora, non possono che partire da percorsi di orientamento continuo, serio e strutturato, non solo informativo ma anche e soprattutto formativo e trasformativo, ed etico, in grado di incidere realmente sulla formazione della persona, sul suo empowerment e sulla sua occupabilità, che implica un progettare e riprogettare se stessi più volte nell’arco della vita.
Conoscere se stessi, leggere i cambiamenti del mercato del lavoro, coltivare intelligenza emotiva e le altre soft skills per non farsi trovare impreparati di fronte agli imprevisti, della vita e della carriera: forse sta tutta qui la chiave di un nuovo rapporto con il lavoro, magari con minor ansia di prestazione e competitività e con più etica, senso di responsabilità, curiosità e passione. Ma bisogna iniziare sul serio fin dai più piccoli: perché oggi circa il 30% degli studenti universitari è insoddisfatto della propria scelta e il 20% cambia indirizzo dopo il primo anno; ma si sbaglia anche l’approdo alle superiori, si affollano percorsi già saturi, si resta aggrappati ad un sistema troppo teorico e poco calato sulle reali esigenze del mercato del lavoro, si abbandonano scuola e Università.
Se c’è un argine a tutta questa deriva, sta proprio nell’orientamento continuo che può vederci protagonisti di una decisa inversione a U.