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- 30/7/2024
Orientamento universitario: i prototipi delle aspiranti matricole e il ruolo dei genitori nella scelta
In più di 32 anni di attività di Orientamento Universitario presso l’Ateneo di Perugia ho avuto modo di interagire con diverse tipologie di aspiranti matricole. Quando ho iniziato, nel 1991, il prototipo dell’aspirante matricola è stato l’Idealista. A cura di Valeria Lorenzini, Esperta di orientamento universitario.
I ragazzi che usufruivano del servizio di consulenza orientativa avevano dei sogni meravigliosi. Durante il colloquio individuale illustravano il loro progetto che la maggior parte delle persone avrebbero giudicato irrealizzabile, ma la loro motivazione era granitica.
Le aspiranti matricole: i prototipi
L’Idealista molto presto è stato sostituito dal Miope o dal suo opposto, il Presbite. Il primo si concentrava soltanto sugli ostacoli di un eventuale percorso (es. test d’ingresso, esami, durata, ecc.), il secondo, al contrario, riusciva a vedere perfettamente l’obiettivo finale, ma non aveva alcuna contezza del percorso. Figure impegnative con le quali interagire, ma niente in confronto a chi che ben presto avrebbe preso il loro posto: l’Indolente.
Questa tipologia potrebbe essere l’incubo di qualsiasi Orientatore. Non è facile, infatti, interagire con qualcuno che è presente soltanto fisicamente, anche un po’ infastidito, che si comporta come se nulla lo riguardasse. L’Indolente, per ovvi motivi, veniva sempre accompagnato da uno o da entrambi i genitori. Le mamme sono arrivate per prime, poi ad esse si sono sostituiti i papà, successivamente hanno fatto squadra e si presentavano in coppia, infine, hanno tentato di venire al colloquio senza i figli. Nel frattempo, l’Indolente stava subendo una mutazione e diventò Plasmoniano, ovvero abituato alla pappina pronta, meglio se predigerita.
Il Plasmoniano, indolente, quanto l’Indolente, era, però, feroce, trattava i genitori come schiavi, rendendoli delle larve umane che avrebbero fatto qualsiasi cosa per compiacere il proprio figlio/a. Ricordo questo come il periodo più buio e le tipologie che si sono susseguite nel tempo erano dei surrogati del Plasmoniano o sue aberrazioni, come il Tronista, la cui caratteristica principale era quella di non avere alcun talento o il Manager, concentrato sullo stipendio che avrebbe preso, ma totalmente ignaro di quello che sarebbe stato il suo coinvolgimento in azienda.
Pensavo di aver toccato il fondo, ma il prototipo con il quale mi trovo ad interagire da diversi anni a questa parte è davvero difficile da accettare: oggi l’aspirante matricola è rappresentata dal Martire della serie “ricordati che devi morire, ma che prima devi soffrire parecchio”. È incredibile come questo ruolo venga accettato, non solo con rassegnazione, ma con convinzione: è giusto così. Complice di tutto questo è un contesto malato, un pessimismo cosmico, che sta permeando tutto e tutti. Mi verrebbe da dire che i giovani sono le prime vittime, ma, in realtà, almeno nel contesto che mi riguarda, i primi ad essere stati colpiti sono i loro genitori, che, purtroppo, però, da vittime diventano carnefici.
I genitori: vittime e carnefici
Quanto sto per affermare è frutto di un’inevitabile generalizzazione, della valutazione del mio specifico ambito professionale e dell’opinione personale che si sta facendo strada in me e della quale mi prendo tutta la responsabilità. Non sono psicologa, non sono psicoterapeuta, non sono psichiatra ma da oltre 32 anni mi occupo di orientamento universitario che si trova a cavallo di due snodi importanti nella vita di un individuo: la scelta del percorso di studi e l’ingresso nel mondo del lavoro.
I genitori di ultima e penultima generazione sono le prime vittime di un sistema in cui il lavoro viene considerato un male necessario. Le statistiche dicono che il 60% di loro svolge un’attività completamente diversa rispetto a ciò che hanno studiato e, a mio avviso, oltre l’80% non è soddisfatta del proprio lavoro. I genitori sono diventati la cassa di risonanza dei luoghi comuni, del sentito dire, sono esperti di statistiche sull’occupazione, di classifiche relative ai migliori Atenei del Paese, patologicamente esterofili, ma, soprattutto, non corretti nei confronti della prole.
Non avendo in molti casi dedicato il tempo necessario, sia quantitativamente che qualitativamente ai propri figli, spesso si sostituiscono a loro, sia nelle cose banali, che in quelle importanti. Il senso di colpa prima e la necessità poi li sta portando ad assumere un atteggiamento che non è soltanto eccessivamente protettivo, ma deleterio.
Complice il sistema scolastico che ha coinvolto le famiglie in tutte le attività, rinunciando così ad una sana distinzione di ruoli, in un tale contesto i giovani difficilmente possono esercitare il loro libero arbitrio e sono ridotti a meri spettatori della loro vita. Non sono stati educati alla scelta e questo è il motivo per cui, dopo un colloquio di orientamento, giudicano tale intervento usando quasi sempre l’aggettivo illuminante.
Oggi, anche l’accesso ai servizi di orientamento è bypassato dai genitori. Ricevo mail e telefonate da madri e padri che chiedono di fissare un appuntamento per i figli. Un padre mi ha chiamato per chiedere di fissare un colloquio per il proprio “bambino”, che nello specifico aveva già compiuto 19 anni. Un altro ha chiesto un intervento su Skype e quando mi sono collegata, davanti allo schermo c’era soltanto lui e l’ho dovuto pregare di chiamare la figlia, nonché la diretta interessata. Le mamme, generalmente, si esprimono al plurale: “ci dobbiamo immatricolare”, “dobbiamo frequentare”, ecc.
Questo filtro dei genitori si sta rivelando oltremodo dannoso e si aggiunge agli altri ostacoli che l’aspirante matricola si trova nel suo percorso di scelta.
È chiaro che alla base del comportamento di questi adulti vi è senz’altro l’amore, l’istinto di protezione che un genitore ha nei confronti del proprio cucciolo, ma è un amore che non aiuta e contribuisce a rendere i giovani sempre meno protagonisti.
Spesso mi trovo a dover affrontare certi discorsi con i genitori, utilizzando delle slides con le quali riesco ad avere un approccio graduale, perché si sentano compresi nel loro atteggiamento, ma, infine, anche consapevoli delle conseguenze del loro operato.
La diapositiva finale recita così: “cari genitori, credo che potreste essere sufficientemente appagati per aver dato la vita ad un essere unico e irripetibile, capace di cose straordinarie, che voi non siete in grado di immaginare. Il vostro compito è quello di non impedire che ciò accada".
Bibliografia
- Valeria Lorenzini, Cassandra mi fa un baffo! L’orientamento aiuta i giovani a non farsi rubare il futuro, Bertoni Editore, 2021, Il martirio di Pierino 2000, pagg. da 11 a 15.
- Daniel Pennac, Diario di Scuola, Ed. Universale Economica Feltrinelli, 2012, pag. 55, Gli studenti, soprattutto quelli che vanno male a scuola, sono come una cipolla i cui strati sono fatti di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri, insoddisfazioni, rinunce furibonde.
- Paola Mastrocola, Non so niente di te, Edizioni Einaudi, 2013, Nessun genitore deve volere il meglio per suo figlio. E sai perché? Perché non lo sa. Un genitore non sa cos’è il meglio per suo figlio. Non lo può sapere, Come potrebbe? , pag. 308.