Martedì 16 Luglio 2024

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  • 28/7/2022

Occupati, disoccupati, inoccupati e inattivi: un'analisi dei termini in un'ottica di orientamento professionale

Questo articolo cercherà di mettere in luce la complessità di queste terminologie, a partire da una classificazione molto interessante illustrata nel  libro “Sociologia del Mercato del Lavoro”, di E. Reyneri. A cura di Rovena Bronzi, Orientatrice Asnor.

Un aspetto rilevante è che la maggior parte delle persone con cui si entra in interazione è abituata a ragionare in termini di:

  1. occupati: coloro che hanno, svolgono un lavoro;
  2. disoccupati/inoccupati: coloro che non hanno, non svolgono alcun lavoro.

In realtà, il tema del lavoro è molto più complesso e sottintende tutta una serie di variabili che entrano in gioco nei percorsi di ricerca lavoro e che indiscutibilmente vanno indagate e approfondite, prima ancora di partire con il percorso vero e proprio.

Questo articolo cercherà di mettere in luce tale complessità, a partire da una classificazione molto interessante illustrata in uno dei libri che mi hanno accompagnata nel mio percorso di laurea in Psicologia del lavoro: “Sociologia del Mercato del Lavoro”, di E. Reyneri.

Occupati, disoccupati, inoccupati e inattivi: la classificazione

Il libro “Sociologia del Mercato del Lavoro”, di E. Reyneri propone, a partire da un’indagine svolta negli anni ’90 sul territorio italiano, una classificazione tra:

1.   occupati
2.   disoccupati/inoccupati
3.   inattivi

Vediamola brevemente insieme.

Occupati

Rientrano nella tipologia “occupati” coloro che:

  1. sono impegnati in un’attività lavorativa regolata da un contratto o in una condizione professionale;
  2. si definiscono come tali, se pur con attività occasionali o non regolate da un contratto;
  3. si definiscono come studenti, casalinghe o pensionati ma che a tutti gli effetti svolgono una qualche attività lavorativa, condizione  professionale o non professionale (per esempio in vista di un profitto o di un guadagno della famiglia).

Persone in cerca di occupazione

Rientrano nella tipologia coloro che:

1. sono disoccupati in senso stretto, ovvero per vari motivi hanno perso/lasciato un precedente lavoro.

La persona “disoccupata” è chi soddisfa queste 4 (+1) dimensioni:

  • non ha un'occupazione (condizione economica);
  • è alla ricerca di un'occupazione salariata sia da dipendente che da indipendente (attività);
  • è disponibile ad accettare un lavoro alle condizioni esistenti (attitudine);
  • ha un più o meno elevato bisogno di procurarsi un reddito (stato di necessità);
  • è registrato in un centro per l’impiego e, se rispettate specifiche condizioni, riceve un'indennità di disoccupazione o altre forme di assistenza (condizione giuridica – amministrativa);

2. sono inoccupati, ossia sono in cerca di una prima occupazione e non hanno mai avuto un precedente lavoro;
3. si autodefiniscono studenti, casalinghe o pensionati in cerca di lavoro.

Non forze lavoro e inattivi

Rientrano in questa tipologia coloro che:

  1. non raggiungono la soglia minima o superano quella limite di anzianità per poter lavorare;
  2. presentano problemi di salute, fisica e psichica, tali da risultare come non forze lavoro;
  3. sono inattivi, ovvero non intraprendono alcuna azione volta alla ricerca del lavoro o al massimo lo fanno in modo superficiale, svogliato, comunque accessorio rispetto ad altro. Tra questi possiamo avere una più’ mirata classificazione: coloro che pur non attivandosi direttamente sono comunque disponibili a lavorare e coloro che al contrario non solo non cercano un lavoro, risultano anche poco o per nulla inclini ad accettarne uno.

Le cause possono essere svariate ma è utile identificare almeno le 2 più diffuse.

Da un lato, a rendere inattivi certamente sono i sentimenti quali rabbia, demotivazione, rassegnazione, auto-svalorizzazione, dovuti principalmente a lunghe attese e infinite ricerche tutte dall’esito totalmente negativo (esclusione dal mondo del lavoro per età, competenze considerate obsolete, condizione famigliare, ecc.) o parzialmente negativo (susseguirsi nel tempo esclusivamente di proposte di piccoli lavoretti tutti occasionali e spesso anche in evidente non rispetto delle leggi vigenti in materia di salari e diritto del lavoro).

Dall’altro, quelle stesse politiche del lavoro che per anni anziché creare condizioni volte all’indipendenza e al reinserimento nel mercato del lavoro, hanno finito per avvantaggiare forme passive di assistenzialismo economico.

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Una classificazione da cui partire per svolgere la professione di Orientatore

Questa classificazione, aldilà della specificità dell’indagine e dei tecnicismi che la sottintendono e che negli anni cambiano, certamente è utile a riportare il focus sull’importanza, nel momento in cui viene presa in carico una persona per accompagnarla in un percorso di ricerca lavoro, di:

  1. avere ben chiara la sua tipologia di appartenenza (occupato - disoccupato – inoccupato - inattivo) per capire da dove partire e come, con quali domande;
  2. esplorare in modo attento quali sono lo stato psicofisico, le motivazioni, le emozioni, l’atteggiamento, anche in funzione della tipologia di appartenenza.

Presumibilmente, quindi, può essere disfunzionale aspettarci che un occupato, un disoccupato e un inattivo abbiano lo stesso approccio, lo stesso perché, la stessa motivazione e gli stessi obiettivi da raggiungere, soprattutto laddove a fare la differenza sono la scelta e la libertà nel fare o meno un percorso.

Se in un caso, infatti, una volta comprese le motivazioni e le aspettative, in genere si può partire direttamente con il percorso personalizzato, nell’altro è fondamentale prima di tutto fermarsi per capire le cause per cui per esempio da cercatore di lavoro una persona è passata a essere un inattivo e poi definire un percorso che in primis porti a ricreare nuovi paradigmi relativi al cercare lavoro o a elaborare il lutto legato alla perdita del lavoro stesso.

Puntare solo al risultato finale (supportare nella ricerca di un nuovo lavoro), senza prima farsi un’idea di chi abbiamo davanti, limitarsi a classificare chi abbiamo di fronte come “ha un lavoro vs non ha un lavoro", sottovalutare/negare le possibili differenze e approcciarsi allo stesso modo a tutti coloro che stanno cercando lavoro o “sono senza lavoro”, possono rappresentare errori tali da mettere in seria discussione la realizzabilità stessa del percorso.

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Dott.ssa Rovena Bronzi

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